Dove anche i geek sfogliano le pagine

Tutta colpa di un libro

di Shelly King

Recensione di Tutta colpa di un libro di Shelly King, Milano : Garzanti, 2015
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Quello di Shelly King è il diario di una giovane donna che legge libri cartacei nella Silicon Valley, dove l’idea comune vorrebbe che la cellulosa sia stata ormai bandita per ragioni che vanno dalla comodità del formato digitale al rispetto per gli alberi.
Tutta colpa di un libro è originale nella forma senza stravolgere il genere del diario personale, e descrive due mondi – quello delle case di software e quello della letteratura, meglio se amorosa – che si toccano senza stridere, pur con qualche licenza scenica (lo hanno notato in molti, il quadernetto del proprietario della libreria al posto dell’elenco su pc, tanto impossibile in una libreria californiana da rischiare di essere vero). Fanno sorridere i dialoghi che alternano riferimenti a LinkedIn ad altri su L’amante di Lady Chatterley. E la trama è originale, con uno sviluppo interessante nella prima metà del libro e un finale inatteso.
Piccola nota sulla copertina: del tutto fourviante. In essa forse il solo gatto, comunque troppo magro, è un degno riferimento alla storia.

Per chi annusa i libri

La memoria vegetale e altri scritti

di Umberto Eco

Recensione di La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia di Umberto Eco, Milano : Bompiani, 2011
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La memoria vegetale e altri scritti è una raccolta di saggi sulla bibliofilia tratti da conferenze, prefazioni ad altri saggi, articoli e da un testo (Riflessioni sulla bibliofilia) pubblicato in precedenza per l’editore Rovello. Quest’ultimo varrebbe da solo la spesa: si tratta di un piccolo compendio (una trentina di pagine) che definisce anzitutto la bibliofilia, passando poi in rassegna la bibliomania, il rubar libri, la bibliocastia, per arrivare a definire che cosa sia la biblioteca per un bibliofilo.
Altre tre piccole perle sono: il capitolo su Athanasius Kircher, analizzato nella sua fortuna attraverso i secoli, sino ai prezzi attuali delle sue opere; “Lo strano caso della Hanau 1609”, analisi dal punto di vista filologico e del bibliofilo della discussa edizione dell’Ampiteatrum Sapientiae Aeternae, opera dell’alchimista tedesco Heinrich Khunrath; e “Shakespeare era per caso Shakespeare”, divertissement sulla “Bacon-Shakespeare Controversy”.
Purtroppo ho smarrito il volume qualche mese dopo l’acquisto, ma mi sono rifatto con l’edizione del 2007 data alle stampe dall’editore Rovello che ho menzionato sopra. Un piccolo sfizio in soli duemila esemplari, su carta usomano avoriata Arcoprint e carattere Bembo monotype, che apprezzo ancora di più oggi, dopo che Rovello ha chiuso i battenti in modo silenzioso e triste.

Il dubbio

Io uccido

di Giorgio Faletti

Recensione di Io uccido di Giorgio Faletti, Milano : Baldini&Castoldi, 2002
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Qualche moto di incredulità accompagnò nel 2002 la comparsa del primo romanzo di Giorgio Faletti, che dopo il “Drive-In” si era già preso la soddisfazione di cantare a Sanremo e comporre canzoni per Mina, Milva e Fiordaliso.
Io uccido è originale a tratti e al tempo stesso già visto, spesso intenso e talvolta poco lucido, ma non perde mai la presa, con quel registro linguistico da sigaretta a un angolo della bocca che sa tanto di Sam Spade. Tanto, forse un po’ troppo.
Negli anni si è scoperto che i Led Zeppelin hanno completamente copiato Stairway to Heaven. Almeno lì vi era l’interpretazione.
Qui sono troppi i casi nei quali sembra di essere di fronte a una traduzione buona ma non ottima dall’inglese americano. Troppe le volte (e lo saranno ancora di più nel caso di Fuori da un evidente destino, per il quale addirittura il titolo fece alzare il sopracciglio dei critici più attenti) nelle quali il ricorso a riferimenti culturali americani sembra fuori luogo o mal reso in italiano, pur stante la presenza nella storia di un uomo dell’FBI a Montecarlo.
Pur con quel dubbi, Io uccido resta una lettura leggera, che senza troppi sofismi filologici resta un ottimo alleato di ombrellone.

L’imbarazzo della scelta

Il ritorno del numero sette: Lorien Legacies [vol. 5]

di Pittacus Lore

Recensione di Il ritorno del numero sette: Lorien Legacies [vol. 5] di Pittacus Lore, Milano : Editrice Nord, 2015
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E’ difficile scegliere da dove partire per giudicare le pagine di James Frey e Jobie Hughes. D’accordo, la trama può pure avere un che di interessante, ma occorre per forza qualcosa che giustifichi il successo (americano) di una saga che altrimenti rimane al livello della letteratura vampiresca delle Buffy e dei Vampire Diaries.
Non se ne può più di alieni che vengono sulla Terra per usarla come campo di battaglia (quanti hanno già utilizzato l’espediente?). Non se ne può più di alieni che anche prima di esserci arrivati, sulla Terra, hanno nomi egizi (perché non russi o bantu?). E non se ne può più di personaggi che fanno cose e vedono gente ma non hanno il minimo spessore, la minima caratterizzazione, la minima definizione di passioni e sentimenti che non siano “io amo”, “io odio”. Mai un dubbio, un tentennamento, una crescita. Al confronto di queste dramatis personae i Puffi sono rappresentati in modo più sfaccettato.
Leggo che questa dovrebbe essere letteratura per ragazzi. Possiamo trattarli meglio.

Serendipity

Città aperta

di Teju Cole

Recensione di Città aperta di Teju Cole, Torino : Einaudi, 2013
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L’opera di Teju Cole è la narrazione in prima persona delle sensazioni vissute dal protagonista Julius, nelle sue perergrinazioni. Tanto basterebbe a sintetizzare Città aperta. Apparentemente le vicende vissute da Julius, uno specializzando in psichiatria all’ultimo anno, non hanno gerarchia, non hanno livelli di importanza. Così come non hanno importanza le mete ultime delle sue camminate newyorchesi. Su tutto vincono l’estrema attenzione, la capacità di cogliere il particolare, la predilezione per il dettaglio minimo, che ricordano quasi quelle di Funes, il memorioso delle Finzioni di Borges. L’attenzione di Julius è però figlia di quella dei popoli che ancora sanno ascoltare, vedere e annusare prima di parlare con un’opinione formata. Il riferimento non diventa quindi Borges, quanto la storia delle principesse di Serendip, che camminano senza traguardi incontrando sempre cose belle e inaspettate.
Julius, infine, una propria gerarchia ce l’ha, e la scopre pian piano durante la narrazione. Un ordine di valori che prima vuole rifiutare, forse per volontà anticonformista, per poi aderirvi, in modo quasi sanguigno. Una chiamata dal profondo, si direbbe, che lo porta a schierarsi quando prima si era tenuto in disparte. Perché New York, il Belgio o Lagos non sono poi così distanti per chi voglia trovarne i punti di contatto. Con attenzione, per l’appunto.

Un’occasione persa

Didone, per esempio

di Mariangela Galatea Vaglio

Recensione di Didone, per esempio di Mariangela Galatea Vaglio, Roma : Ultra, 2014
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Va bene che l’Antichità classica sia considerata noiosa, e che debba essere rivista in chiave più sbarazzina. Va bene che le storie di un tempo siano belle quanto (anzi, sono madri) di quelle di oggi, e possano essere rese con una vivacità che ci è più consona. Va bene, ancora, prendersi una piccola rivincita morale sui prof del liceo che tanto ci hanno fatto odiare quelle opere.
Ma se da un lato Mariangela Vaglio riesce bene a togliere molta della polvere accumulata su quelle lontane figure, eccede, e di molto, nell’uso di un registro linguistico “giovane”. Sta bene un po’ di brio, ma i “c****” e i “vaf*******” sparsi con abbondanza nelle pagine di Didone, per esempio non vanno proprio. Non per un vago perbenismo, ma semplicemente perché sono stucchevoli, rubano inutilmente la scena ai personaggi che si sta cercando di recuperare, e alla fine riducono di molto il risultato finale.
Poi, non avessimo esempi a conferma del contrario: Luciano De Crescenzo ha già mostrato come simili operazioni possano essere compiute con rigore, allegria e leggerezza senza attingere al turpiloquio. Come dicono i Francesi, “le cul, ça marche toujours”, ossia una parolaccia, una chiappa o un rutto funzionano sempre per far divertire, ma forse in questo caso non era necessario.

polvere di stelle

Le stelle non sono lontane

di Candida Morvillo

Recensione di Le stelle non sono lontane di Candida Morvillo, Milano : Bompiani, 2014
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La bravura scrittoria di Candida Morvillo è il punto fermo di Le stelle non sono lontane. L’alternanza tra déjà-vu e tempo presente, l’aumentare del ritmo all’avvicinarsi della scadenza fatidica per la protagonista, il diario intimo di questa: tutto è ben misurato, mai banale nelle scelte stilistiche, vivace quando serve e con una vena malinconica dosata con bravura.

Quello di cui invece soffrono queste pagine è una trama che oscilla tra lo scontato e l’improbabile. Se da un lato i personaggi del teatro in cui è immersa la protagonista reggono bene perché esprimono una realtà purtroppo vera, dall’altro non raccontano nulla che non si sappia già (l’accostamento di questo romanzo a La grande bellezza compiuto da qualcuno è del tutto fuori scala); se da un lato la figura della protagonista è ben scavata, e appare completa quanto viva, sono palesemente irrealistiche le situazioni che vive, il modo in cui è arrivata al successo, e la decisione che prenderà alla fine della storia. Tutto questo, si direbbe, per ingenuità dell’autrice, ma è più facile pensare a un dipinto che non vuol essere troppo a tinte fosche, e che vuole dare qualche speranza all’esercito delle veline che serve il nostro paese oggi. Se l’intento è in qualche modo pedagogico, però, forse sarebbe meglio convincerle a non arruolarsi, piuttosto che lasciarle congedare.

dove tutto è cambiamento

Jacob von Gunten

di Robert Walser

Recensione di Jacob von Gunten di Robert Walser, Milano : Adelphi, 2014
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All’opera di Walser si addice quantomai la definizione di Bildungsroman. Non solo perché la storia riguarda la formazione del protagonista in una scuola per maggiordomi, ma proprio per via dei cambiamenti cui egli va incontro. Scappato di casa, Jacob va volontariamente incontro a una vita da servitore, come a scontare la pena per un’esistenza che forse giudicava ingiustamente piena di agi.

Il confronto con gli altri personaggi lo forgia e lo fa crescere, e il suo rapporto con loro cambia via via: il direttore della scuola da principio lo atterrisce (e lo picchia a dovere), ma Jacob arriverà a rispettare ciecamente; la sorella del direttore, verso cui prima nutre un amore ideale, gli susciterà poi un sentimento di pena; i compagni, dai quali all’inizio si sentiva distaccato, per i quali proverà un’amicizia strana ma sincera.
Coevo de I turbamenti del giovane Torless, Jakob von Gunten ne condivide la visione della scuola come microcosmo rappresentativo della vita nel suo complesso, ma i “turbamenti” descritti da Walser sono come diluiti, vissuti in modo distaccato, come in una distante visione retrospettiva.
Pur nella sua brevità, Jakob von Gunten ha i ritmi di un romanzo di ampio respiro, al pari dei migliori esempi della tradizione mitteleuropea di inizio Novecento. I diversi livelli di lettura ne fanno un’opera godibile, profonda, che vale l’accostamento ai più celebri Musil e Kafka (che indicò Walser come proprio precursore).

Quando la natura insegna

Le mie fiabe africane

di Nelson Mandela

Recensione di Le mie fiabe africane di Nelson Mandela, Milano : Feltrinelli, 2014
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Attese, ascolti, posizioni: non solo le parole narrano in queste fiabe, raccolte da Nelson Mandela attingendo sia all’immaginario Xhosa, etnia alla quale apparteneva, sia ad altre tribù dell’Africa Meridionale. I ritmi e le morali sono diversi da quelli delle fiabe europee, più “antropizzate”, ma i messaggi e i consigli che ne derivano mostrano come in ogni angolo della terra vi sia lo stesso bisogno di riferimenti culturali.
In queste fiabe animali e uomini coesistono, con i primi spesso a dare preziose indicazioni di vita ai secondi. Da leggere.

Noio volevàn savuàr l’idriss

Milano low cost 2015: Guida anticrisi alla città più cara d’Italia – Expo2015

di Bruna Gherner

Recensione di Milano low cost 2015: Guida anticrisi alla città più cara d’Italia – Expo2015 di Bruna Gherner, Milano : BUR, 2014
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Che cosa si chiede a un libro del genere? Che sia ben organizzato per sezioni, intuitivo nell’uso delle icone, mirato sulle esigenze di chi viaggia, rapido da consultare. La guida di Bruna Gherner è tutto questo.
Ideale per i visitatori dell’Expo che si fermano più di un giorno, e vogliono tenere d’occhio le spese, Milano low cost 2015 dà anzitutto indicazioni su come si arriva a Milano e come si gira per la città con mezzi che vanno dall’automobile all’autostop; ragguaglia su tutti i modi oggi disponibili (anche grazie a Internet) con i quali si può abbassare il prezzo del pernottamento (non di rado con qualche sacrificio, piccolo o grande); il cibo è poi una sezione molto importante, con suggerimenti organizzati per tipo e spesa media; sono non banali, e forse curiosi per molti tra gli stessi milanesi. Divertimento e shopping sono le due sezioni successive, e una ulteriore è dedicata ai bambini, che spesso nelle visite alle grandi città hanno poco spazio. Alternative allo shopping a tre zeri di via Montenapoleone sono poi proposte nelle pagine che seguono. Infine, preziose indicazioni su come affrontare piccoli (e grandi) incidenti di salute costituiscono la penultima sezione, che precede quella degli itinerari cittadini e fuori porta (è un’aggiunta rispetto all’edizione del 2013).
Tutti i dati sono molto aggiornati, le schede sono veloci ben dimensionate.
Un acquisto che forse su Kindle ha il suo vero senso sia per un motivo dimensionale, sia per la possibilità di effettuare ricerche alla massima velocità.