iconographia taurinensis sive de theatro proximitatis

Nel 1682 per i tipi di Blaeu fu edita ad Amstelodami (Amsterdam nella sua dizione latinizzata) il Theatrum Sabaudiæ, un’opera iconografica che si inserisce nella tradizione europea di atlanti geografici inaugurata un secolo prima (per la precisione nel 1570) dal Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Ortelius. Theatrum è termine presentissimo nella letteratura dei secoli xvi e xvii, come può esserlo “manuale” in epoche più prossime. Indica l’atto del mostrare, da intendersi come disvelamento (così come il sipario che si alza mostra il palcoscenico) di ciò che è non noto, sia che si tratti di territori, sia che l’oggetto della “mostra” siano manufatti, animali o comunque materiali di origine biologica.
Il Theatrum Sabaudiæ assolve in modo ragguardevole alla propria missione, dando visibilità alle città e ai territori del ducato Savoia, che proprio in quel periodo si alzava al rango di potenza di livello europeo. Le città viste a volo d’uccello, le piazze in prospettiva, i cartigli a connotare i luoghi (trasponendo la loro funzione alle cose presenti, si direbbe che li “taggano”), le sezioni degli edifici, costituiscono i principali tipi di rappresentazioni iconografiche presenti nell’opera.
Sono ben visibili in ognuna delle quasi 150 tavole le scelte simboliche, cromatiche, il taglio ottico, in definitiva il progetto di fondo, all’insegna del visibile ordine e dell’ostentata stabilità. Ovvio che le città sabaude non fossero proprio come raffigurate nelle tavole, anzi.
Soprattutto, non occorre pensare che la pulizia delle piazze fosse proprio quella, che le sezioni degli edifici fossero così ideali, che le certose e le abbazie fossero così sgombre di piccole costruzioni raccogliticce al loro contorno. E’ la rappresentazione, la messinscena (nel senso letterale), che ovviamente fa propendere per una certa idealizzazione, oltre che per una fissità dello schema. Ordine e sicurezza sono le parole d’ordine.

Oltre tre secoli dopo la famiglia torinese di maggior importanza torna a compiere esercizi di stile nella direzione dell’ordine e della sicurezza. Si parla ovviamente della famiglia Agnelli, che in un periodo di crisi dà prova di seguire dettami stilistici e comunicativi per alcuni versi analoghi a quelli appena analizzati.
Osservando le immagini fotografiche degli ultimi due o tre anni nelle quali siano rappresentati i massimi vertici direttivi della Fiat, si nota come appaiano quasi sempre i soli Sergio Marchionne e John Elkann, rispettivamente amministratore delegato e presidente del gruppo.
Se nel Theatrum Sabaudiae si nota la permanenza delle scelte stilistiche applicate su luoghi diversi, così nelle immagini “di rito” che ritraggono Marchionne ed Elkann si avverte la ripetizione di un cliché, che vede il primo quasi sempre a sinistra nella foto, l’altro ovviamente a destra. Il secondo è quasi sempre sorridente; il primo rivolge spesso gli occhi in alto, o comunque altrove rispetto agli obiettivi.
Entrambi vestono sempre nello stesso modo, perché ciò denota stabilità; Marchionne, con fare quasi sacerdotale, ha spesso una mano sul petto. Elkann lo guarda. Solo raramente, un terzo personaggio appare in mezzo al duo: Luca Cordero di Montezemolo, che normalmente li abbraccia stando in mezzo a loro, sorridentissimo.
Sembra di ritornare ai quiz di Mike Bongiorno, dove l’ospite del caso, cantante o personaggio famoso di altra risma che fosse, era accolto da uno stuolo di fotoreporter, accorsi a documentarne la presenza alla trasmissione. Una carrellata della telecamera sui fotografi ne faceva apprezzare la presenza in massa (si parla ovviamente di una decina di persone); ciò generava un’inversione, per cui l’evento era creato dalla presenza dei fotografi. La documentazione, l’immortalamento come sintomo (in realtà causa) dell’evento.
Che eventi testimoniano le fotografie di Marchionne ed Elkann? Non è dato sapere, poiché sono tutte uguali, sostituibili, ripdoducibili. Quasi come opere di Warhol, sono vere e foto “pop”, nel senso etimologico del termine.
Unica probabile funzione delle immagini (diversamente ne basterebbe una) è la riproposizione, a fini borsistici, del legame tra la proprietà del gruppo e la sua amministrazione. Marchionne parla, Elkann in media no, e la foto deve mostrare il legame tra le due parti, ove le parole non arrivano.

13 – fare e disfare

Protagonisti dell’architettura urbanistica fra xvi e xviii secolo
1. Ascanio Vittozzi (1584-1615): espansione della città che progetta le vie dando loro larghezza e dotando gli edifici di portici destinati come spazi per camminare (al contrario dei porticati bolognesi che nascono molto dopo per creare stanze da affittare agli studenti universitari). Nel frattempo il baricentro del castello si sposta verso l’asse del centro città. L’attuale zona di Piazza Vittorio Veneto si chiamava “borgo moschino” dove si ha palude e zanzare; dobbiamo aspettare la restaurazione per la progettazione dell’attuale piazza Vittorio Veneto.
2. 1560-1641 Carlo di Castellamonte sussegue a Vittozzi, e gli attribuiamo la progettazione della piazza di San Carlo (1640): a forma rettangolare chiusa (era delimitata da due isolati della vecchia città quadrata e da due conventi) e con una forte simmetria (reso possibile grazie alla morfologia piatta del territorio), viene progettata per le parate militari pubbliche.
3. inizio del xviii secolo: Filippo Juvarra si occupò della progettazione dei quartieri militari, della Porta Susina e della zona Porta Nord (attuale Porta Palazzo che subirà altri interventi nel 1736). Altre espansioni della città conseguite da Juvarra sono la costruzione della basilica di Superga e il suo collegamento con il Castello di Rivoli, l’attuale corso Francia.
Il 1682 è l’anno di pubblicazione del Theatrum Sabaudiae (stampato in Olanda), opera che negli intenti vuole testimoniare la grandezza del regno Savoia. In questo contesto il termine theatrum ha il significato più generale di rappresentazione di una teoria organica: infatti il libro è corredato di immagini in prospettiva o a volo d’uccello, così come i teatri di macchine contenevano tavole delle realizzazioni meccaniche più evolute ed utilizzate in quel tempo. Il libro era destinato a convincere e rendere nota la potenza raggiunta dal casato Savoia.

Periodo Napoleonico e Restaurazione
L’occupazione francese (1800-1814) comportò l’abbattimento delle fortificazioni e delle mura, sostituite da viali alberati. Anche tutte le successive progettazioni urbanistiche includeranno la creazione di spazi verdi per passeggiate.
Con la Restaurazione (1815) si ebbe la realizzazione della piazza Gran Madre di Dio da parte di Ferdinando Bonsignore, la progettazione della piazza Vittorio Emanuele e il ponte di Bernando Mosca, realizzato su un supporto a forma di curva, a sostituzione del precedente ponte in legno.
Al 1863 risale la progettazione della Mole Antonelliana (citata da Gustave Eiffel nel suo La tour des trois cents mètres, opera nella quale descriveva il suo progetto mastodontico e riferiva delle due più alte costruzioni del tempo, l’obelisco di Washington e proprio la Mole) basandosi sull’architettura metallica e sulla tecnica dei laterizi ovvero dell’imitazione delle nervature reticolari per creare una struttura in grado di resistere a enormi sollecitazioni.
La punta dell’edificio fu ristrutturata varie volte in seguito a uragani che la distrussero, fino a quando nel 1961 viene messa una stella. Oggi la Mole Antonelliana è la sede del Museo del Cinema.
Nel 1884 fu aperta la via Pietro Micca sotto l’egida della legge di Napoli, provvedimento che era stato intrapreso per migliorare le condizioni igieniche e di salubrità generale della città partenopea martoriata dalle epidemie di colera. La via taglia in diagonale il reticolo preesistente a vie ortogonali.
La città continuò a svilupparsi con le infrastrutture quali corsi di ampio respiro, per poi essere fortemente influenzata dalla presenza delle ferrovie. La prima linea fu la Torino-Trofarello (1842) collocata oltre il Po. La ferrovia serviva essenzialmente per trasportare materiali pesanti quali acciaio e carbone, e successivamente fu collegata alle ferrovie francesi attraverso il traforo del Frèjus, completato nel 1871 anche grazie all’opera della perforatrice pneumatica ideata da Germano Sommeiller. Si determinarono in questo modo gli assi preferenziali dell’espansione alla forma moderna della città (Torino sarà per due anni la capitale d’Italia per poi spostarsi a Firenze).