Galline, Avatar e resistenze, o della stereoscopia e del 3D / 3

A distanza di soli quattro anni dalla prima proiezione pubblica dei fratelli Lumière, nel 1899 William Friese-Greene (inventore, tra l’altro, di uno “schermo portatile” sul quale potevano essere visualizzate delle proiezioni) presentò un cortometraggio nel quale la stereoscopia era data dall’interazione di due proiettori, che riproducevano sullo stesso schermo due bobine. La visione stereoscopica era possibile grazie all’uso di uno strumento simile a quello brevettato da David Brewster.
Ancor prima del sonoro (il primo lungometraggio con traccia audio fu Il cantante di jazz, con Al Jolson, nel 1927), fu la stereoscopia a essere utilizzata in proiezioni diffuse commercialmente. E’ del 1922 The Power of Love, per la cui visione erano necessari degli occhiali sui quali erano montate due lenti di colore diverso (verde e rossa). La Metro-Goldwin Mayer fu la prima major a credere realmente in questa possibilità tecnica, e investì in alcune realizzazioni, una delle quali, Audioskopics, nel 1936 ottenne addirittura una nomination agli Academy Awards nella categoria “miglior cortometraggio”.
Si deve però attendere il secondo dopoguerra perché film stereoscopici di buona qualità tecnica appaiano sugli schermi.
Spartiacque di questa evoluzione è Bwana Devil, di Arch Oboler, che pur presentando una qualità della visione mai ottenuta prima (la tecnica è ancora quella dei due proiettori sincronizzati) mostra nel 1952 il nuovo sistema “Natural Vision”. L’uso della stereoscopia tentava di contrastare la nascente televisione, che aveva dimezzato gli ispettatori del cinema in soli 3 anni (dai 90 milioni del 1948 ai 46 del 1951). Nel 1953, anno dell’uscita della tecnica Cinemascope, seguono, tra gli altri, House of Wax (La maschera di cera), horror il cui remake del 2005 ha visto tra i protagonisti niente meno che Paris Hilton, Fort T (Forte T), western classico, John Wayne nel western Hondo, e Miss Sadie Tohmpson (Pioggia), con Rita Hayworth. In Dial “M” for Murder (Delitto perfetto, 1956) di Alfred Hitchcock, una glaciale Grace Kelly tende più volte verso il pubblico la mano armata di forbici, in una scena di particolare efficacia per coloro che indossavano gli adeguati occhialini.
Nel 1974 Andy Warhol diresse nel 1974 un film horror 3D, Il mostro è in tavola… barone Frankenstein. Girato in Italia, il film vedeva come sceneggiatore Tonino Guerra. Prima di Avatar, il film 3D di maggior successo è stato un film erotico del 1969, The Stewardesses (Le hostess in 3D), una commedia erotica americana realizzata nel 1969.
Altro sussulto del cinema 3D ha luogo negli anni ’80: sono del 1982 Lo squalo 3D, Amityville 3D e Friday the 13th Part 3D. Tron mostrò scene tridimensionali basate sulle nuove possibilità della computer grafica. Risale invece al 1980 la tecnologia Imax, seguita a ruota dalla Imax 3D, sulla quale si basò la realizzazione di Transitions, del 1986. Nello stesso anno Michael Jackson e Anjelica Houston furono diretti da Francis Ford Coppola nel cortometraggio Capitan Eo, distribuito solamente nei parchi Disney americani.
Chissà se a causa del movimento grunge, gli anni ’90 e buona parte del decennio successivo segnano il passo per la realizzazione di pellicole 3D. Che tornerà all’ampia diffusione solo con U2 3D, film-concerto degli U2 del 2006. Si arriva così a oggi, con Avatar sui nostri schermi. Il film non ha dunque alcun vero diritto di primogenitura sulla tecnica 3D, e qualcuno sostiene che pure l’idea che ne sta alla base non sia proprio farina del sacco di Cameron & C. Che per intanto si sollazzano alla lettura dei numeri del botteghino.

A oggi si contano circa 250 tra cortometraggi, lungometraggi e trasmissioni televisive realizzate e visionabili con la tecnica della stereoscopia.

Galline, Avatar e resistenze, o della stereoscopia e del 3D / 2

(continua il post del 19/01/2010)
Nelle prime fasi di un corso di elettrotecnica, appena completato lo studio dei componenti passivi di un circuito (gli elementi, cioè, come il resistore, il condensatore e l’induttore, che non generano più energia di quanta ne viene loro fornita), ad una svolta di pagina appare uno strano circuito, simile a prima vista a un aspo per la raccolta del filato. In realtà si tratta del cosiddetto ponte di Wheatstone, insieme di resistenze note (fisse e variabili) e di una ignota, di un generatore di tensione (una pila, ad esempio) e di un galvanometro (misuratore di intensità di corrente) di precisione.
Il dispositivo permette, per mezzo della variazione di una resistenza (ipoteticamente, la r2 della figura), la determinazione della resistenza r4.
Stilisticamente ineccepibile, il ponte di Wheatstone è utilissimo per calcolare efficacemente e in modo preciso le resistenze degli elementi circuitali, e in definitiva per un corretto funzionamento dei circuiti. Sfrutterà il medesimo principio il ponte di Maxwell, o ponte universale, con il quale è possibile misurare anche le induttanze e le capacità.
A Charles Wheatstone si debbono importanti perfezionamenti nella telegrafia; codificò una tecnica crittografica che prese di cifrario Playfair dal nome dall’amico Lord Playfair; nel 1832 inventò uno strumento aerofono (alla famiglia degli aerofoni appartiene anche la fisarmonica) dal quale derivò la concertina; e soprattutto ideò lo stereoscopio, un apparato con il quale poteva effettuare la visione di immagini al fine di percepire otticamente la profondità degli oggetti rappresentati.
Gli sviluppi della fotografia e la corrispondenza con il fotografo William Fox Talbot permisero a Wheastone di sviluppare la tecnica stereoscopica con i negativi; al brevetto dello stereoscopio non seguì tuttavia il successo sperato. Si dovette attendere il perfezionamento dell’invenzione da parte di David Brewster (già ideatore del caleidoscopio) nel 1849 perché l’Esposizione Universale del 1858 portasse alla ribalta il dispositivo. Come per molte altre invenzioni, la “benedizione” della regina Vittoria fu sigillo di certo valore.
Brewster rese portatile lo stereoscopio, trasformandolo da un apparato piuttosto pesante con specchi e prismi a una sorta di binocolo portatile e pieghevole attraverso il quale poteva essere consultata ovunque una coppia di immagini stereoscopiche.
Nel frattempo (1852), si inventava la macchina fotografica stereoscopica, ma la seconda metà del xix secolo portava la tecnica stereoscopica a una prematura fine, surclassata, così come la visione attraverso la lanterna magica e il caleidoscopio (quest’ultimo ridotto quasi a una pura locuzione), dalla nuova tecnica che apparve nell’ultimo decennio del secolo: il cinema.
Sarà la nuova tecnica cinematografica a chiamare in causa la stereoscopia, che nel corso del xx secolo avrà nuovi spazi in combinazione con il movimento delle immagini proiettate. Si passerà ciclicamente dalla paura allo stupore, con rappresentazioni il cui grado di realismo ha fatto porre numerose questioni di tipo filosofico sul significato della visione.

(continua)

Galline, Avatar e resistenze, o della stereoscopia e del 3D / 1

Posto che non hanno tasche dove riporre del denaro, e tanto meno capacità prensili per portare con sé un portafoglio con il contante per pagare il biglietto del cinema, per le galline non varrebbe la pena vedere Avatar, l’osannato film di animazione le cui caratteristiche 3D sembrano porlo come pietra di paragone futura per le realizzazioni di questo tipo.
La stereoscopia si basa infatti sulla vista binoculare, che contempla una disposizione frontale degli occhi, ai quali in ogni momento arriva (quasi) la medesima immagine.
La vista binoculare è utile soprattutto per la percezione della profondità, grazie al triangolo i cui lati sono costituiti dalle due linee che uniscono gli occhi con l’oggetto osservato e dalla linea di congiunzione tra i due occhi.

Seguendo un simile principio, i Romani usavano la triangolazione per misurare distanze non note: per calcolare, ad esempio, la larghezza di un fiume, utilizzavano uno strumento detto groma, che permetteva la costruzione di triangoli rettangoli simili (ossia con angoli a uno a uno uguali). Note le lunghezze dei lati di uno dei due triangoli (quello sulla terraferma), si potevano conoscere quelle ignote del triangolo i cui lati non erano completamente percorribile. Per inciso, con la groma si possono solamente misurare gli angoli retti, o tracciare linee rette traguardandovi attraverso.
La conoscenza di tale dispositivo è fondamentale, insieme con l’aratro, per comprendere le modalità dell’antropizzazione del paesaggio compiuta dai Romani.

Tornando alla visione, il cervello degli animali (uomo compreso) con vista binoculare compie costantemente triangolazioni, che consentono la percezione delle distanze e dunque della profondità dello spazio circostante.
Le galline sopperiscono alla loro mancanza anatomica ruotando velocemente la testa per “confrontare” la visione di un occhio con quella dell’altro, ugualmente per stimare le distanze e le profondità.
La visione binoculare è stata utile ai predatori, che grazie a essa possono condurre inseguimenti stimando con ottima precisione la distanza che li separa dalla preda e le variazioni di quella. I rapaci, dal canto loro, compensano l’impossibilità della vista binoculare con diverse caratteristiche e dimensioni del sistema oculare.
Questa caratteristica della visione di alcune specie animali fu scoperta da Euclide, alla fine del iii secolo a.C., ma come in altre occasioni le scoperte scientifiche dei Greci non sfociarono in ulteriori analisi, sistematizzazioni né ricadute tecnologiche.
Non si danno particolari avanzamenti nella consocenza e nell’interpretazione del fenomeno della stereoscopia per lungo tempo; Leonardo da Vinci studiò la materia, ottenendo secondo alcuni (si veda un esempio in http://stereoscopicgioconda.blogspot.com/) una tecnica di tipo stereografico. Altri, invece (James H. Beck, Leonardo’s rules of painting, Oxford : Phaidon Press, 1979) ritengono che Leonardo abbia concluso per l’impossibilità da parte della pittura di rappresentare in modo realistico le profondità.
Nel xvi secolo Giovan Battista della Porta (1535-1615) è accreditato delle prime realizzazioni di disegni stereografici; il lemma “stéréoscopique” si deve al padre gesuita François d’Aiguillon, che nella sua opera Opticorum libri sex philosophis juxta ac mathematicis utiles , che oltre alla stereografia trattava anche delle proiezioni ortografiche, basandosi sugli studi, tra gli altri, di Christiaan Huygens.

Sarà il xix secolo a mettere maggiormente in pratica le conoscenze legate alla stereoscopia, preludendo all’utilizzo di questa a supporto della tecnica cinematografica.

(continua)