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La sua fortuna deriva dalla diversificazione dell’uso delle sue varie parti: quella fibrosa, utile per realizzare corde e tessuti, quella fogliare, utile come cibo per gli erbivori addomesticati, e la componente oleosa, utilizzabile in vario modo.
Sino all’uso massiccio del cotone, iniziato attorno agli anni ’20 del xix secolo le stoffe, i tessuti e i vestiti erano fatti di canapa. Il filato della pianta di canapa, ottenuto per maciullamento delle parti corticali della pianta e loro successiva filatura, analogamente a quello della lana animale, non era facilmente lavorabile in modo meccanico come poteva esserlo il cotone, che per le proprie caratteristiche meccaniche (in particolare la resistenza alla trazione) meglio si prestava all’impiego delle macchine per la filatura e la tessitura.
Di particolare importanza fu l’uso dei filati di canapa nella fabbricazione delle vele e del sartiame; l’evoluzione delle marine europee si basò pesantemente sulla disponibilità di questo materiale, anche in questo caso sino a quando una nuova tecnologia nata nel periodo della Rivoluzione Industriale, la caldaia a vapore, lo soppiantò.
Similmente avvenne per i libri, anche se in questo caso l’interruzione dell’utilizzo della canapa per fabbricare carta non sembra derivare da considerazioni meramente tecnologiche. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti stimò nel 1916 che nel giro di un quarto di secolo tutta la carta sarebbe stata prodotta con la canapa. La considerazione di sistema nasceva dal fatto che la un appezzamento a canapa produceva la stessa carta di un’area quadrupla coltivata ad alberi, con un inquinamento che poteva essere anche di sette volte minore.

Perché la canapa non ottenne il successo preventivabile?