fare le foto con l’iPad…

…è quasi come, nel 1995, prendere un televisore (a tubo catodico, ovvio) e collegarlo, a mezzo di un supporto rigido, con una macchina Polaroid, la cui fotografia sia poi inviata via fax a una stazione emittente, che la mostri in una trasmissione e sulla quale sia sintonizzato il televisore. La cosa fa molto steampunk, ma se questa è un’esagerazione, serve a capire come si vada nettamente contro la tendenziale riduzione delle dimensioni degli oggetti di uso quotidiano, specie quelli di natura elettronico-informatica.
Non che sia per tutti così: i telefoni cellulari hanno visto un aumento delle dimensioni degli schermi a causa di un mutamento nel loro uso; qui però siamo al parossismo, o così pare.
Se poi all’iPad aggiungiamo la custodia, la gestione fisica del dispositivo diventa sufficientemente ardua. Chi acquisterebbe mai una macchina fotografica di simili dimensioni? O meglio, chi l’avrebbe fatto dopo, tanto per dire, la Seconda guerra mondiale? Non si va contro alcuna norma di codice civile o penale (almeno nella maggior parte degli Stati), ma si sconfina nel campo del ridicolo.
Senza contare che poi, con i tanto popolari sistemi cloud, peraltro bandiera di questi tempi della Apple, è sempre meno importante che il dispositivo che scatta la foto sia lo stesso all’interno del quale rimane registrata.
Si torna a considerazioni precedenti (esposte qui e qui), che portano a qualche conclusione. Anzitutto, il tablet non è un “oggetto naturale”, intendendo con questo che la sua struttura non è accettata come tale dall’uso comune consolidato da qualche decennio di informatizzazione. Un possibile parallelo è quello con le biciclette dalle grandi ruote anteriori (le cosiddette “Gran Bi”), diffuse sino attorno al 1880: l’uso fece prevalere un’altra forma, più comoda, più sicura, oltre che tecnologicamente più avanzata, ed è la bicicletta che ancora oggi usiamo noi.
Ma si diceva dell’iPad: lo trasformiamo in un notebook aggiungendogli tastiere, sostegni e mouse; lo usiamo come e-book reader, funzione peraltro svolta in modo migliore da altri dispositivi; per dargli dignità d’uso, tristemente, ci facciamo le foto, e magari lo usiamo come cornice digitale. Immagini come quella sopra saranno viste tra meno di vent’anni nel modo in cui noi oggi vediamo quella sotto. Il tablet è morto: viva il tablet!

Genealogia delle macchine che contano – 01

Inizio a raccogliere qui qualche spunto per la compilazione di una genealogia delle macchine da calcolo, dalla Seconda guerra mondiale in poi. Questa è la prima puntata. Ne seguiranno altre, in apparente ordine casuale. L’apparenza spesso non inganna.
Con questa soluzione, proposta dall’ottimo Kickstarter, e chiamata Brydge (vorrei conoscere il tasso alcolemico del responsabile marketing che ha accettato questo nome, soprattutto in tempi di Internet), come grazie a molte altre, è possibile trasformare un iPad in una codsa simile a un pc. Secondo quanto riportato su Apple HD Blog,
“E’ realizzato in alluminio aerospaziale ed è stato progettato per adattarsi insieme al tablet in modo tale che sembrino due parti dello stesso dispositivo”.
Proprio non lo vogliamo, questo tablet. Ci giriamo attorno, ma come Montanelli conosceva bene il potere impalpabile della pressione dei tasti sulla sua “Lettera 22”, così noi siamo gutebnberghianamente legati alla corrispondenza tra gesto meccanico (si badi, diverso dal touch) e comparsa di segnale alfanumerico sul supporto di visualizzazione, carta o schermo che sia.

l’iPad, il riscaldamento globale e l’entropia

Prima o poi qualcuno farà il calcolo (non ne ho voglia) dell’effetto generato dalle maggiori temperature sviluppate dall’iPad 3 sul global warming. Ma prima ancora, non avevo mai percepito un tale interesse nei confronti del calore generato da un processore. Il sito olandese Tweakers parla di un aumento da 28,3 (temperatura di lavoro dell’iPad 2) a 33,6 gradi (Celsius, ça va sans dire) della nuova versione del dispositivo prodotto dalla Apple.
Colpito da tale sostanza numerica, svolgo alcune riflessioni:
– l’iPad potrebbe utilmente svolgere funzioni di riscaldamento casalingo (cosa che dà il là a una possibile lista delle “cose che non puoi fare con un quotidiano ma con l”iPad sì”, dopo le “cose che non puoi fare con l’iPad ma con un quotidiano sì“);
– mettere ordine nelle cose che ci circondano, sia che ciò avvenga ritirando abiti in un armadio, dividendo pietruzze per colore, usando un calcolatore per scrivere un blog o un tablet per organizzare dei segnali radio in notizie quotidiane, significa combattere (localmente) l’entropia. Poiché però questa simpatica grandezza deve sempre aumentare allorché spostiamo il nostro punto di osservazione da locale a globale, ecco che avere una maggiore potenza di calcolo, capace quindi di fare più ordine attorno a noi, significa che da qualche parte ci sarà maggiore disordine. E, a prescindere dal disordine che può essersi creato durante la costruzione di un iPad (sul quale non mi dilungo molto, ma che è commisurato alla quantità di CO2 prodotta), maniera preferenziale per esprimersi da parte del disordine è il calore. Quindi, in assenza di salti tecnologici particolari (come potrà essere, ad esempio, il calcolatore quantistico), a maggior potenza di calcolo corrisponde maggior calore emesso dai circuiti per effetto Joule;
– secondo una sensazione che dovrei verificare con un termometro (ma non credo che infilerò mai un termometro a mercurio in qualche orifizio del mio notebook, vedasi una presa RJ-45), la temperatura di 33,6 gradi è comunque inferiore a quella generata da un laptop di uso comune;
– risultato di tutte queste elucubrazioni, con buona probabilità, è solo un piccolo contributo all’entropia del nostro pianeta; un sano ozio sarebbe forse stato più proficuo.

l’iPad a vapore

Il sito ThinkGeek, vera vetrina di novità, propone in “copertina” un gadget da associare all’ormai immarcescibile iPad: la custodia con tastiera Bluetooth. L’oggetto, in vendita all’approcciabile prezzo di 59 dollari e 99 centesimi, parla di utenti di iPad che, comettendo atto di lesa maestà, si sarebbero macchiati di “leave your iPad behind”, vale a dire di non prendere sempre con sé l’amato feticcio ma di metterlo da parte quando le cose si fossero fatte serie. Continua la descrizione: “The truth is that you really needed a keyboard. Not all the time, mind you, but enough so that your hastily composed emails signed with ‘- Sent from my iPad’ wouldn’t be read like ‘- Sent from my divan, where servants are hand-feeding me grapes as I lounge and browse the Interwebs.'”
L’iPad quindi come segnale di assenza di serietà. E quale migliore maniera di conferire ottocentesca serietà al tablet più famoso? Dotarlo di meccanica schiera di tasti, più politicamente corretta dell’effimero tastierino software (si noti come “tastiera” corrisponda alla compitezza della dattilografa e “tastierino” all’estemporaneità dell’utenza virile).
Ritorna l’archetipo, quindi, che intervenne nella realizzazione della forma del computer destinato all’utenza allargata: una macchina per scrivere, il fondamento, il noto, associata a uno schermo, oggetto eminentemente del dopoguerra e quindi nuovo, che pur già comune nelle case sotto forma di televisione, non era stato sino a quel momento controllabile, e quindi ancora da esorcizzare nella sua forma “personale”. Si vede bene questa combinazione in Brazil di Terry Gilliam.

Un oggetto, in definitiva, inconsciamente (e meravigliosamente, si può dire?) steampunk, che nelle didascalie delle immagini appare come tale: si rassicura l’utente dicendogli “Non you can really throw your netbook away” (si badi, non il laptop o notebook, ma la sua deriva minimalista), o “Full-sized keys” (le piccole dimensioni dei tasti li rendono poco seri), pur ricordandogli che la custodia “Folds over easily for normal use”. Siamo ancora in pieno assestamento, se il ritorno alla tastiera riconduce ad ambiti consueti o normalizzati, riconoscendo però che il “normal use” è quello per cui l’oggetto è stato progettato.
L’utente è ancora spiazzato, segno dell’inutilità del pur bellissimo oggetto o degli assestamenti verso una nuova tipologia di strumenti informatici personali?

la lista del giovedì – 01 – cose che non puoi fare con l’iPad ma con un quotidiano sì

Gran bell’oggetto, l’iPad. E’ il futuro, oggi. Tra qualche anno gli edicolanti dovranno cercarsi un altro mestiere, e molti librai pure. Leggerezza, perfetta visualizzazione, possibilità di prendere appunti e note in modo veloce e organizzato allo stesso tempo, rimozione di enormi quantità di carta da case e uffici. L’iPad ha un grande futuro davanti a sé. Anche i radical chic tra poco cederanno.

Senza voler sembrare retrogradi, però, si vogliono segnalare alcune attività che non si possono compiere agevolmente con un iPad, ma con un quotidiano sì:

1. riciclarlo (va bene, si riciclerà pure in qualche modo, ma non c’è confronto);
2. sedersi su di una panchina e farci i buchi per spiare qualcuno senza essere visti;
3. coprirci i mobili o il parquet quando si tinteggia;
4. ritagliarne una parte e appenderla con una puntina per poi dimenticarsi di averlo fatto;
5. arrotolarlo e cacciare zanzare, mosche, pappataci e altri ditteri;
6. impiegarlo come riempitivo in cavità di vario genere;
7. pulire i vetri inumidendolo;
8. lasciarlo in treno dopo aver letto le cose che più ci interessano;
9. metterci in mezzo una rivista che si vuole nascondere;
10. darne parte a una persona che vuole leggere altro da quello che leggiamo noi;
11. (se si è un muratore) farci un cappello;
12 (bonus). metterlo sotto la maglia d’estate quando si è in giro in bicicletta e si approccia una discesa (per la verità, se si dispone di un numero adeguato di iPad l’operazione è fattibile anche con il gingillo della Apple; non ne si segnalano i lati negativi).

Relativamente al punto 3., è notorio che l’articolo più interessante di un giornale è quello di un numero di un certo giorno del mese prima, che si scorge mentre si spennella una parete. Ci si può trovare immersi nella lettura mentre la nostra pennellessa sgocciola su di una porzione non protetta della nostra stanza.

(continua)