il mago dell’immondizia

Sentendo in questi giorni la trasmissione di Radio Due Un giorno da pecora si può apprendere dell’ameno tentativo da parte del mago Otelma, autodefinentesi come Primo Teurgo della Chiesa dei Viventi, Gran Maestro dell’Ordine Teurgico di Elios, Fonte di Vita e di Salvezza, Dispensatore di Verità Archetipa e Luce dei Viventi, di convincere la municipalità napoletana (sì, sì, il Consiglio comunale tutto) a intraprendere per la risoluzione del (si direbbe annoso) problema dei rifiuti la via di una processione propiziatoria da lui medesimo condotta.
Alla base della mancata delibera si avrebbero, secondo mezze affermazioni del “divino”, come egli usa autodefinirsi, mancanti volontà di outing da parte dei membri del Consiglio, che se in separata sede confermano tutta la fiducia possibile a Marco Belelli (così si chiama in realtà il mago Otelma), d’altro canto non possono esporsi in pubblico, e ciò impedisce loro incidentalmente di assegnargli giusta prebenda.
Senza entrare nel dettaglio della sicuramente efficace arte teurgica del “divino”, qualcosa fa pensare che la sua pretesa di risolvere una situazione oggettivamente complessa (nel senso proprio del termine) per mezzo di arti magiche abbia a che fare con le arti da lui praticate, che gli valsero nel 1987 una condanna con sentenza definitiva a due anni di reclusione per circonvenzione di incapace emessa dalla Corte d’Appello di Trieste.
Il mondo contemporaneo è da un lato ricchissimo di oggetti e conoscenze che appartengono all’ “universo della precisione”; dall’altro, la continua ricerca del limite, teorico, ma soprattutto tecnologico e scientifico, pongono l’uomo in una situazione di perenne sbilanciamento sull’orlo dell’ignoto, del non percorso, del non quantificabile e riducibile a forma algoritmica. E’ così endemicamente inconoscibile, o almeno momentaneamente ignota, o non compresa, una non negligibile porzione del percepito.
Da sempre l’uomo affronta il limite in modo epistemologicamente “misto”, ossia usando per la sua comprensione strumenti che potrebbero essere definiti rispettivamente gnoseologici e gnostici. In altre parole, un po’ tenta di capire con l’intelletto, con il procedimento induttivo/deduttivo, con spiegazioni razionali, e un po’, dove in ultima analisi “non ci arriva”, con mezzi non razionali.
Si pensi all’automobile, che sino agli anni ’70 in Italia era portata a essere benedetta e conseguentemente munita di santini; si trattava di un oggetto tecnologico nuovo non tanto come invenzione, ma come uso comune, e come tale doveva essere sdoganato per rientrare tra gli oggetti “casalinghi”, quelli di cui ci si può fidare: la sua utilità era indissolubilmente legata alla sua pericolosità; per questo si benedivano le automobili e non le lavatrici. Le navi sono varate con atti apotropaici (di cui l’ultimo è la rottura della bottiglia contro lo scafo), perché pur essendo note per composizione e funzionamento, sono collocate in un ambiente non tecnologicamente controllabile come il “mare oscuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai”.
I Romani prevedevano una figura come quella del pontifex maximus, cui spettavano funzioni politico-organizzative (come una sorta di ministro delle infrastrutture) e contemporaneamente propiziatorie, comprendendo in sé parte di quelle dell’augure. Cioè a dire, il pontifex dava ad esempio mandato della costruzione di un ponte, ne sovrintendeva anche la realizzazione pratica, ma siccome la campata necessaria per scavallare un fiume come il Tevere o altro era di lunghezza tale per cui la pur valente tecnica edificatoria dei Romani raggiungvea il proprio limite, entrando in quella zona grigia nella quale la certezza della realizzazione non era più tale, non disponendo di mezzi conoscitivi razionali sufficienti a darsi e dare forza rispetto alla propria scelta, si affidava a mezzi che razionali più non erano. E così via libera alla divinazione, allo scandaglio del futuro con l’osservazione di voli di corvi o ispezione degli intestini di una capra.
Tornando alle vicende odierne, è comprensibile che si pensi che un problema i cui limiti e le cui soluzioni non sono percepiti in modo chiaro dalla maggioranza delle persone, ivi compresi i rappresentanti delle istituzioni democratiche, che così tanto pesa su di una popolazione, possa avere utile soluzione quando questa provenga da domini conoscitivi non razionali.
In questi termini, tuttavia, la proposta di Otelma avrebbe senso se venisse dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, o da quello dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Stefania Prestigiacomo, che stanco di trovarsi di fronte una condizione alla quale non riesce a porre rimedio con le ordinarie azioni amministrative, scegliesse di invocare l’Altro, il Di-Là-Da-Noi, incarnando ancora una volta in un’unico corpo le due funzioni di gestore della res publica e di aruspice.
Come tale, invece, non può essere accettata, Otelma non ne voglia ad alcuno, almeno sino a quando non diventerà ministro. Ciò che, peraltro, viste le figure attualmente in carica, non è affatto impossibile.

11 – Fuoco!

Le armi da fuoco costituiscono un’innovazione tecnologica rivoluzionaria, per il peso avuto su tutto il sistema economico e produttivo alle loro spalle: l’invenzione e la successiva produzione della polvere da sparo, l’evoluzione delle tecniche di fusione metallurgiche a supporto di una sempre migliore qualità, sicurezza ed efficienza dei prodotti, la standardizzazione della produzione: più in generale, è lecito quindi parlare delle armi da fuoco come di una innovazione sistemica.
La tecnologia delle armi da fuoco ha origine in Cina, dove prima che altrove (la tecnologia cinese, sino alla comparsa della “scienza elettrica” ha in numerosissime occasioni preceduto quella occidentale) si svilupparono le conoscenze necessarie alla produzione della polvere nera, menzionata in un testo del 1044.
Solo verso l’inizio del xiv secolo, all’epoca di Dante, passando per il mondo arabo, la polvere da sparo arrivò in Europa. La sua disponibilità permise lo sviluppo della tecnologia delle armi da fuoco. Nello stadio iniziale del loro sviluppo queste avevano effetti più deterrenti che pratici: spesso si rivelavano pericolose per gli stessi loro utilizzatori e potevano addirittura risultare fatali. Un esempio è dato dal “mostro di Urban”: un fonditore di campane ungherese, Urban, dopo essersi offerto all’impero bizantino, si schierò con gli Ottomani, per i quali lavorò durante l’assedio di Costantinopoli del 1453. Proprio in quell’occasione morì per l’esplosione di una delle sue creazioni, ed è ricordato per l’enorme bombarda detta “mostro di Urban” : lunga 8 metri, pesante 48 tonnellate, i suoi proiettili di granito avevano una circonferenza di 3 metri e un peso di mezza tonnellata. Per trasportarla erano necessarie 50 paia di buoi; una volta posizionata non veniva più mossa per molto tempo, e aveva una cadenza di fuoco molto bassa, non superiore ai 5-8 colpi al giorno.
Oltre alla poca efficacia distruttiva, i pezzi d’artiglieria cinquecenteschi potevano essere pericolosi per i propri stessi utilizzatori, per via dell’alto rischio di esplosione. La tecnica metallurgica, pur migliorata, non garantiva fusioni sempre perfette, specie per i pezzi di grandi dimensioni. Una cricca, un difetto, un’inclusione di elementi che indebolivano la struttura, potevano risultare nella deflagrazione del cannone. Gli “scoppiettari”, addetti all’accensione dello stoppino dei cannoni, erano tenuti alla confessione prima delle battaglie, ed era fatta loro assoluta proibizione di formulare giuramenti.
Essendo l’arma da fuoco un oggetto al limite delle capacità e delle conoscenze tecnico-scientifiche del tempo, la sua produzione si rivestiva quindi di un carattere quasi esoterico: oltre che riccamente adornata e decorata, essa veniva anche benedetta e le era conferito un nome, al fine di ingraziarsi la divinità.
Le pratiche scaramantiche dei produttori e degli utilizzatori dei cannoni ricordano, per molti aspetti, quelle operate dal pontifex maximus romano, ossia la figura politica che si occupava della gestione amministrativa delle opere civili nell’antica Roma.
Il pontifex, infatti, godeva non solo un potere di ordine amministrativo-gestionale, ma si occupava anche del corollario di pratiche religiose che seguivano la costruzione di ponti e grandi infrastrutture in generale: scongiuri, sacrifici e altri gesti apotropaici e divinatori per cercare una sicurezza mistica che la scienza e la tecnologia del tempo non potevano assicurare completamente.
Questa tendenza dell’uomo ad affidarsi a entità superiori, nel momento in cui non riesce più a spiegarsi fenomeni naturali grazie unicamente alle conoscenze scientifiche e tecniche, non è caratteristica della sola età classica e del Medioevo, ma si protrae più in generale in tutta la storia della tecnologia fino ai giorni nostri: basti pensare alla rottura della bottiglia di champagne nel battesimo delle navi, erede e sostituta della polena dei velieri, o al nose painting, le decorazioni degli aerei da guerra che dalla Seconda guerra mondiale sino ai giorni nostri rendono unici i singoli velivoli.