16 – non solo amici dei minatori

Col crescere della complessità cresceva anche il problema del controllo dell’ottimizzazione dei tempi di ogni singolo ciclo. Basti pensare che in una macchina come quella di Newcomen in ogni ciclo dovevano essere aperte e poi richiuse decine di valvole in tempi ben stabiliti con un ordine ferreo e inviolabile. Se tali rigide regole di precedenza e sincronismo fossero state trasgredite non solo la macchina non avrebbe funzionato ma si avrebbe rischiato la compromissione dell’intera struttura per non dire l’esplosione dell’intero stabilimento. Ecco perche si cercò sempre più di automatizzare il sistema di apertura e chiusura delle valvole con gli automatismi propri del ciclo della macchina.
Questo tipo di ottimizzazione consenti poi la vendibilità del “prodotto-macchina” come standard e riproducibile praticamente in serie, aprendo cosi un nuovo tipo di mercato.
Sistemi di apertura e chiusura delle valvole per l’immissione e lo scarico del vapore (ed acqua) erano automatizzati attraverso il moto dell’asta della pompa d’iniezione sincronizzata con il moto del bilanciere. La possibilità di tale automatismo, non esistente in origine, fu consigliata da un giovane operaio addetto alle aperture e chiusure delle valvole, Humphrey Potter: questi collegò con delle corde le due valvole all’asta in moto con il bilanciere e se ne andò a giocare con gli amici, avendo reso automatiche tali operazioni.
La tenuta dello stantuffo era realizzata mediante rivestimento del medesimo con del cuoio reso a tenuta d’aria mediante il rigonfiamento provocato da acqua situata nella parte superiore dello stantuffo, ottenendo una buona soluzione ma ancora lontana da una buona tenuta. Il tutto era di notevoli dimensioni: l’altezza del solo cilindro poteva arrivare quasi ai 4 metri. Il bilanciere realizzava 12 oscillazioni al minuto in ciascuna delle quali sollevava 45 litri d’acqua da 46 metri di profondità mediante l’uso di una serie di pompe. La sua potenza si poteva stimare intorno ai 5 cavalli vapore. Tale macchina ebbe un gran successo ed in sessanta anni se ne fabbricarono oltre 120 esemplari.
Culmine tecnico per la costruzione di macchine a vapore fu raggiunto da James Watt che con la sua macchia riuscì a ottimizzate al meglio i principi della termodinamica in una struttura dal alto rendimento e dalla gestione semi-automatica.
I principi di funzionamento della macchina possono essere così riassunti: Il vapore prodotto dalla caldaia entra nel cilindro e solleva il pistone (in tale fase la valvola B è aperta e la A è chiusa). Appena il pistone è arrivato alla sommità del cilindro si chiude B e si apre A: una pompa aspira il vapore dal cilindro. Il cilindro scende in basso ad opera della pressione atmosferica (il cilindro mosso dal solo vapore sarà in un modello di macchina successivo). Il vapore aspirato va nel condensatore per ritornare allo stato liquido. Si riapre la valvola B e si richiude la A per iniziare un nuovo ciclo. Nel frattempo l’asta del pistone compie lavoro attraverso l’oscillazione del bilanciere che aziona la pompa della miniera. Il bilanciere, come lavoro secondario, aziona anche la pompa che aspira il vapore dal cilindro.
Watt non si limitò a sfruttare al meglio la potenza di un ciclo, ma riuscì a raddoppiare tale potenza accoppiando due cicli; regolò altresì il funzionamento della macchina in maniera automatica con una valvola tarata su valori soglia: il governor.
Nel 1782 Watt realizzò la macchina a doppio effetto, che in pratica raddoppiava la potenza della macchina semplice a parità di cilindrata. Si trattava di immettere il vapore alternativamente sulle due facce dello stantuffo. In tal modo si abbandonava l’intervento diretto della pressione per far scendere lo stantuffo medesimo e si apriva alla possibilità di macchine con cilindro non più necessariamente verticale. I problemi con il doppio effetto erano legati al trasferimento del moto al bilanciere. La catena non era più utilizzabile; ora serviva un meccanismo rigido. Watt risolse brillantemente anche questo problema con il sistema detto parallelogrammo articolato o a tre leve. Infine Watt realizzò una valvola regolatrice centrifuga (aggiunta nel 1788), accoppiata con un meccanismo che regolava l’immissione del vapore (ancora il governor) per mantenere la macchina a velocità costante.
Il regolatore di Watt faceva accelerare la macchina se rallentava per il troppo carico o la faceva rallentare dopo un’accelerazione dovuta a diminuzione di carico. Se la velocità della macchina aumentava le due sfere si divaricavano e, per mezzo di leverismi, facevano chiudere parzialmente la valvola a farfalla. La quantità di vapore che giungeva nel cilindro diminuiva e la macchina rallentava. Se la macchina ritardava, si verificava esattamente il contrario.
Il governor forniva anche un’idea qualitativa del lavoro compiuto dalla macchina, ed anche visivamente rendeva conto della velocità di operazione della medesima: più si sollevavano le palline, nel moto rotatorio che competeva loro, maggiore era la velocità della macchina.
Il governor è un esempio di feedback, in una macchina che si autoregola e autogestisce: i giri motore a valle influenzano la chiusura della farfalla; in altre parole, l’uscita della macchina influenza l’ingresso.

16 – padroni del vapore

Dal xviii secolo l’energia tratta dal carbon fossile poté fornire, grazie alla macchina atmosferica di Newcomen, pur con una dispersione straordinaria e rendimenti minimi (1%), un primo apporto di energia meccanica.
Dal 1780, quando i materiali a disposizione lo permettono, prese le mosse la vera rivoluzione energetica. Fu cosi che Papin, dopo aver inventato la pentola a pressione qualche anno prima, arrivò a mettere a punto la prima macchina a vapore degna di questo nome, capace di produrre una rilevante quantità di energia dal riscaldamento di una certa massa d’acqua.
Per il funzionamento della macchina, si deve disporre dentro il cilindro metallico un poco di acqua. Il pistone superiore è spinto verso il basso in modo da essere a contatto con l’acqua (l’aria che è nel cilindro fuoriesce da un piccolo foro lasciato nel pistone, foro che si richiude quando il pistone è sceso completamente). A questo punto si accende un focolare al di sotto del cilindro; il vapor d’acqua, vincendo la pressione atmosferica, solleva il pistone fino alla sommità del cilindro. In alto il pistone è bloccato da appositi ingranaggi per permettere di togliere il focolare con le seguenti successive conseguenze: raffreddamento del vapore, sua condensazione fino a tornare acqua, creazione del vuoto sopra la superficie dell’acqua. A questo punto si libera il pistone prima bloccato in alto.
Esso scenderà violentemente risucchiato dal vuoto. A questo punto si rimette il focolare sotto il cilindro e tutto procede di nuovo come nel ciclo precedente. La forza (il termine energia entrerà nella letteratura scientifica molto oltre, nel xix secolo) che si genera dipenderà dalle dimensioni in gioco, ed in particolare dal diametro del cilindro; sul rendimento influirà invece in modo marcato la tenuta tra pistone e cilindro.
Successivamente, grazie alle scoperte in campo termodinamico, si riuscì a sfruttare il cosiddetto “vuoto spinto” per pompare l’acqua dai pozzi o dalle miniere. Uno dei primissimi esempi di questo genere di applicazione fu la macchina di Savery del 1698.
Il vapore proveniente da una caldaia (edificio in muratura) era inviato, mediante un tubo, dentro un recipiente pieno d’acqua, con l’effetto di espellere quest’acqua verso l’alto, mediante un altro tubo. Successivamente il recipiente veniva raffreddato mediante un getto d’acqua dall’esterno. A seguito di ciò il vapore ivi presente (che aveva sostituito l’acqua precedentemente presente) condensava provocando il vuoto. In tal modo, la pressione atmosferica agente sull’acqua da sollevare in fondo al pozzo, poteva spingere quest’acqua nel recipiente vuoto (si può anche dire che il vuoto del recipiente aspirava l’acqua dal pozzo). A questo punto un nuovo getto di vapore proveniente dalla caldaia faceva defluire l’acqua verso l’alto. I recipienti presenti erano due, ed erano alternativamente riempiti e svuotati per maggiore efficienza dell’impianto. E’ chiaro che per realizzare tutto questo occorreva aprire e chiudere alternativamente rubinetti e valvole; tali operazioni venivano fatte manualmente.
Tuttavia non tutto in queste macchine andava come il progetto ideale prevedeva: la macchina sollevava l’acqua non oltre i circa 10 metri (limite torricelliano). Per risolvere tale problema Savery spinse sulla pressione, portandola alle circa 10 atmosfere (se si pensa che non vi erano valvole di sicurezza ci si rende conto che tali macchine erano delle potenziali bombe); la qual cosa, nelle previsioni teoriche, avrebbe moltiplicato per 10 il normale sollevamento ad una sola atmosfera, portandolo a circa 100 metri. Il tutto però avveniva con grande consumo di combustibile (carbone e legna), circa 20 volte quello di una normale macchina a vapore di alcuni anni dopo.
L’evoluzione successiva che sopperì alle mancanze della macchina di Savery fu la macchina di Newcomen del 1712 che, con più componenti meccaniche e una maggiore attenzione alla dispersione di energia, aveva accresciuto il rendimento con temperature più basse e una conseguente diminuzione della pericolosità.
Essa adottava cilindro e stantuffo di Papin e lavorava, contrariamente a Savery, a bassa pressione (quella atmosferica), fatto che la rendeva di molto più facile costruzione. Era poi molto affidabile per l’abilità artigiana di costruzione (dati gli standard piuttosto insoddisfacenti dell’epoca), per il fatto che Newcomen aveva esperienza di miniere e perché lavorava con un abile idraulico, Calley. Un fornello alimentava la caldaia che produceva vapore alla pressione atmosferica. Tale vapore veniva immesso dal basso nel cilindro e, aiutato dal bilanciere che manteneva inizialmente in equilibrio l’asta della pompa posta ad estremità opposta del bilanciere rispetto all’asta dello stantuffo, faceva sollevare lo stantuffo medesimo.
Appena il vapore aveva riempito il cilindro, mediante una valvola, si immetteva in esso dell’acqua fredda che originava la condensazione del vapore. In tal modo lo stantuffo precipitava verso il basso spinto dalla pressione atmosferica. Il bilanciere oscillava alternativamente da una parte e dall’altra, provocando la messa in funzione della pompa, situata a sinistra del bilanciere, che sollevava l’acqua dal basso.