04 – viva la revolución!

Un potente mezzo per dividere in filoni di grande respiro la storia della tecnologia è la scansione di José Ortega y Gasset, filosofo spagnolo che nel 1933 (in occasione di una conferenza presso l’università di Santander, presente in José Ortega y Gasset, Meditacion de la Técnica y otros Ensayos sobre Ciencia y Filosofia, Madrid : Alianza Editorial, 1982) sintetizzò l’evoluzione delle epoche della tecnica nella seguente tripartizione: vi fu anzitutto la tecnica del caso (técnica del azar), nella quale le realizzazioni tecniche dell’uomo furono reperite casualmente, come nel caso del fuoco mantenuto da quello acceso da un fulmine, o con tutta probabilità le prime conoscenze in campo metallurgico, che forse derivarono dall’osservazione dei prodotti di focolari destinati alla cottura dei cibi.
Con l’organizzazione in villaggi prima, in città poi, prese a diffondersi una seconda modalità tecnica, che Ortega y Gasset definisce técnica del artesano, volendo con questo dire che colui che attende alla produzione la svolge “verticalmente”, ossia dal reperimento delle materie prime sino alle rifiniture del prodotto finale. Costui trasferisce il proprio sapere in modo diretto, a un cosiddetto apprendista, che lo segue per il tempo sufficiente durante l’esecuzione dell’attività, al fine di assimilarne i metodi e, in qualche caso, i segreti. L’artigiano fa.
Segue poi la técnica del técnico, nella quale il tenutario delle informazioni tecniche può anche non essere una persona, ma un supporto fisico, quale una tavoletta di cera, un manuale, un disegno o un diagramma. Il tecnico non svolge tutte le operazioni necessarie al completamento del prodotto finale, ma sa far fare, dunque coordina, dirige, progetta. Le radici di questo paradigma stanno già nelle grandi realizzazioni tecniche medievali (si pensi alla cupola del Brunelleschi a Firenze), ma sarà solamente con la Rivoluzione Industriale che si entrerà propriamente in questa partizione: le macchine, infatti, sono l’oggetto tecnico fondamentale, che compie le operazioni, ma, ad esempio, provvede eventualmente alla realizzazione di altre macchine.
Oltre la scansione di Ortega y Gasset, la successiva fase potrebbe essere definita come la “tecnica della comunità”, con particolare riferimento alle tecnologie informatiche, che specie dopo l’avvento di Internet prevedono una collaborazione tra individui anche fisicamente molto distanti, ma soprattutto vede nuovi modi di trasferimento della conoscenza e di apprendimento.
Una partizione, si badi, non cancella completamente la precedente, ma vi si sovrappone per una certa parte, lasciando ancora alcune applicazioni al paradigma precedente.

Ed ecco un’ulteriore citazione dal filosofo spagnolo:

O animal é atécnico: se contenta em viver com o objetivamente necessário para o simples existir (…). Porém o homem é homem porque para ele existir significa, desde logo e sempre, bem-estar (…). Homem, técnica e bem-estar são, em última instância, sinônimos.

José Ortega y gasset, Meditación de la Técnica, “Revista do Ocidente”, 1957, p. 24.

01 – scimmie e dizionari

Il celebre film 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odissey, 1968) di Stanley Kubrick vede come capitolo introduttivo quello chiamato L’alba dell’uomo. Nella savana di una imprecisata zona dell’Africa vivono delle scimmie antropoidi, la cui alimentazione è prevalentemente vegetariana. Sono divise in branchi, che a volte si scontrano l’uno contro l’altro.
Un mattino sono risvegliate da un forte rumore, con tutta probabilità generato da un monolito nero, che appare e dona loro una nuova e rivoluzionaria forma di intelligenza.
A seguito di questa capacità, il loro capobranco ha un’idea: brandisce un osso lungo di tapiro, e inizia a sferrare colpi con questo. Lo userà come arma contro l’altro branco, e per cacciare piccoli animali. Le scimmie diventano anche carnivore. E’ la nascita dell’utensile, la nascita della tecnica.

Ma che cos’è la tecnica, e che cos’è la tecnologia?
La tecnica può essere definita come qualsiasi forma di attività umana finalizzata alla creazione di nuovi prodotti e strumenti che migliorino le condizioni di vita dell’uomo. La scimmia capobranco di 2001: Odissea nello spazio utilizza un nuovo strumento che migliora le condizioni di vita del proprio gruppo, e quindi utilizza propriamente la tecnica.
Rimanendo nell’ambito della tecnica, poco importa da dove giunga la conoscenza: da un monolito, dal caso o da un altro soggetto, con o senza l’ausilio di supporti (quale può essere un libro). Nell’uomo puramente tecnico non vi è sistematicità di azione, non vi è riflessione sul proprio agire, non vi è programmazione di un trasferimento ad altri delle conoscenze.
Ciò avviene invece con la tecnologia, parola che alla techné somma il logos, il discorso, la parola, in sintesi il pensiero. La tecnologia esiste quando l’uomo riflette sulle proprie azioni e su quelle compiute dai mezzi che utilizza per svolgerle.

Cercando tra alcuni dizionari si trovano queste definizioni:

tecnica [tèc-ni-ca]: 1 l’insieme dei procedimenti pratici da applicare per una specifica attività: Esempio: la tecnica della pittura su stoffa; la tecnica pianistica. 2 Attività umana di progettazione e costruzione di macchine e congegni di vario genere: Esempio: quella macchina è il risultato dei progressi della tecnica moderna.

tecnologia [tec-no-lo-gì-a]: studio dei procedimenti e dei mezzi necessari a trasformare una materia prima in un prodotto industriale: Esempio: i progressi della tecnologia elettronica VEDI tecnica.

Da Italiano compatto – Dizionario della Lingua Italiana, Bologna : Zanichelli, 2010

technique
1. a practical method or art applied to some particular task.

technology
1. the practical application of science to commerce or industry.
2. the discipline dealing with the art or science of applying scientific knowledge to practical problems; “he had trouble deciding which branch of engineering to study”.

Da Wordnet 3.0 (database lessicale inglese sviluppato dalla Princeton University sotto la direzione di George A. Miller)

technique A nf 1 Procédé particulier que l’on utilise pour mener a bonne fin une opération concrète, pour fabriquer un objet matériel ou l’adapter à sa fonction. 2 Ensemble des moyens, des procédés mises en œuvre dans la pratique d’une activité. […] 3 Maitrise plus ou moins grande, connaissance plus ou moins approfondie d’un tel ensemble de procédés. 4 Ensemble des applications des connaissances scientifiques à la production des biens et des produits utilitaires.

technologie nf Étude des techniques industrielles (outillage, méthodes de fabrication, etc.), considerées dans leur ensemble ou dans un domain particulier.

Da Dictionnaire Hachette Encyclopédique – Édition 2002, Paris : Hachette, 2001

La storia della parola, in italiano come in altre lingue, è relativamente recente: risale al 1821 la prima occorrenza del termine in Aquilino Bonavilla, Dizionario etimologico di tutti i vocaboli nelle scienze, arti e mestieri, che traggono origine dal greco, Milano : Pirola, 1821. Inizialmente il significato della parola era “trattato sulle arti” (ove per “arte” si intende qualcosa prossimo all’ars latina, corrispondente abbastanza bene ad “attività”) ed ha successivamente assunto quello di “studio della tecnica e delle sue applicazioni”.

La tecnologia in Dante – un abbecedario (N-Z)

Noce: nella Crusca la parola è spiegata come indicante “quella parte della balestra alla quale si fermava la corda, per caricare l’arme” (Pd ii 24).

Orologio: in Pd x 139 e Pd xxiv 13, “congegno meccanico fornito di ruote dentate azionate da pesi e contrappesi o forse anche da molle, conosciuto in Occidente verso la fine del secolo xiii: e i due luoghi danteschi sarebbero appunto tra le prime testimonianze dell’uso di tali orologi a rotismi.

Palanca: ricorre come variante di pala in If xxiii 48, ad indicare una “tavola di legno” da usare come ponticello su un piccolo corso d’acqua. L’esame del contesto invita a rimanere nella lectio vulgata (come nel Petrocchi).

Poggia: p. “è una fune che tiene l’uno capo de l’antenna che tiene la vela pendente; e per questa poggia dà ad intendere lo lato destro de la nave” (Buti). In Pg xxxii 117.

Privado: “latrina”, “pozzo nero”: il termine, che negli antichi testi compare per lo più nella forma –to, si registra soltanto in If xviii 114.

Quadrello: nel senso proprio di “freccia” in Pd ii 23, oltre che nel Fiore (xxix 14, lxxi 14).

Rizzatoio: “drizzacrine”, cioè pettine d’avorio o d’osso, appuntito da una parte, usato per spartire i capelli in mezzo alla testa (Fiore, lii 12).

Scuriada: sferza, frusta di cuoio per incitare i cavalli. Dal latino tardo excorrigiata, da corrigia; in Salimbene “scuriata”. I codici settentrionali tramandano forme analoghe: scoriada, scorriata; l’uscita del Landiano, scorrigiada, è più vicina all’etimo.

Spuntone: arma costituita da un’asta con un lungo ferro quadro, e non molto grosso, ma con punta acuta”. Ricorre due volte nel Fiore, come simbolica arma di pietà (vii 14, cviii 9).

Staio: dal latino sextarius, la sesta parte del congio; indicava un’unità di misura di capacità per grano e altri aridi, e per traslato, il vaso con cui si effettuava tale misurazione (Cv IV xi 8, Pd xvi 105, Pg xii 103-105).

Stocco: spada lunga ed aguzza, particolarmente adatta al tocco di punta (Rime Dubbie, v 17).

Stregghia: allotropo toscano e centro-meridionale di “striglia”, strumento di ferro per la pulizia di cavalli e bovini, usato da Dante nell’espressione “menare s.” (If xxix 76).

Tagliata: termine del linguaggio militare, che indicava un’opera di difesa fatta d’un fosso con parapetto di terra e di alberi tagliati, al fine di difendersi, o di ritardare la marcia del nemico (Fiore, cxvi 7).

Uncino: propriamente, è un arnese terminante con una serie di punte metalliche ricurve e inserito in cima a un’asta; Dante chiama “raffi”, “roncigli” o “uncini” i rampini di cui sono armati i diavoli custodi della bolgia dei barattieri (If xxi 57, xxi 73, 86, xxii 69, 149).

Veggia: il termine, sinonimo antico di “botte”, si trova in If xxviii 22, riferito alla figura di Maometto.

Zappa: solo in Cv I viii 9.

La tecnologia in Dante – un abbecedario (A-M)

Ecco un abbecedario di termini legati alla tecnologia presenti nelle opere di Dante.

Alchimia: vocabolo di origine araba, col quale nel Medioevo si designava l’arte di tramutare i metalli ignobili in oro. Ricorre due volte nella Commedia: If xxix 119 e xxix 137.

Balestriera: “feritoia” nei castelli o nelle fortificazioni in genere, adatta per il tiro con la balestra (Fiore, ccxxiii 7, ccxxv 7, ccxxviii 3, ccxxix 10).

Barbacane: in Fiore xxviii 2 è citato come “terrapieno o antenmurale di sostegno e di rinforzo”.

Caditoio: l’aggettivo compare nella descrizione del castello di Gelosia (Fiore, xxviii 12). Le porte caditoie sono dispositivi a saracinesca, che si possono abbassare dall’interno dell’edificio.

Conocchia: è il “pennecchio”, la “massa di fibra” che si compila, si avvolge alla rocca allo scopo di filarla (Pd xv 124, Pg xxi 26).

Crocco: vale “uncino”, “rostro”, “arma con cui afferrare” (Detto, 366).

Darzanà: dall’arabo dar sina a, “casa di costruzione”, “arsenale” (If xxi 7). Quello citato è quello di Venezia, che sarà poi osservato da Dante durante una visita compiuta tra il 1308 ed il 1310.

Elsa: solo una volta, in senso proprio: Pd xvi 102.

Ferratura: è l’armatura di ferro che si suol porre a rinforzo di un oggetto (Fiore ccxxviii 12).

Frenaio: l’artigiano che fabbrica morsi per cavalli (Cv IV vi 6).

Giomella: è un’unità di misura, corrispondente alla quantità contenuta nel cavo delle mani accostate (Fiore cviii 4).

Imbertescato: participio passato di ‘imbertescare’, usato con valore aggettivale in Fiore xxviii 10. Vale “munito, difeso con bertesche”, che erano fortificazioni in forma di piccole torri costruite sopra maggiori corpi difensivi.

Limone: francesismo del Fiore (ccxvii 6), indicante propriamente ciascuna delle due stanghe del carro tra cui si pone il cavallo. Da cui limoniere, il cavallo che sta tra i ‘limoni’ del carro (Fiore, ccxvii 9).

Lulla: ciascuna delle due parti, a forma di segmento circolare, costituenti gli elementi laterali del fondo delle botti, oggi dette “lunette” (If xxviii 22).

Maciulla: nel senso proprio di “gramola”, “macchina per tritare il lino” o per dividere le fibre della canapa, in similitudine con le bocche del triforme Lucifero (If xxxiv 56).

Manganello: anticamente una macchina da guerra per scagliare grosse pietre o proiettili, nelle città assediate. Tre volte nel Fiore (xxix 12, li 12-14, xcviii 8). Vedi trabocco.

(continua)

Dvorak, o della dattilografia/2

(continua il post del 6/1/2010)

Il sistema che secondo molti studiosi della storia della tecnologia fu più vicino a scalzare il QWERTY dal proprio predominio prese il nome da uno dei due studiosi che lo congegnarono, August Dvorak (l’altro fu William Dealey).
Si cita spesso lo Dvorak come il sistema più efficiente, quello che necessita di minori spostamenti delle dita per la composizione delle lettere, e soprattutto quello più veloce. In effetti, buona parte dei record di velocità nella battitura sono stati realizzati proprio con questa tastiera (attualmente il record mondiale appartiene a una signora russa che è riuscita a digitare attorno alle 900 battute in un minuto).
Tuttavia, esistono alcuni ragionevoli dubbi in merito alla reale affidabilità di alcuni test che porrebbero il sistema Dvorak davanti agli altri, soprattutto al QWERTY.
Dvorak e Dealey brevettarono la propria tastiera nel 1936, lo stesso anno nel quale apparve un libro, Typewriting Behavior, del quale Dvorak era coautore, nel quale si snocciolavano i risultati dei test che dimostravano scientificamente, almeno secondo le intenzioni, la superiorità del metodo.
Alcune stranezze sono però presenti. I test effettuati avevano preso quattro campioni di riferimento, uno per la tastiera Dvorak e tre per la QWERTY. Sennonché, il campione che utilizzava la Dvorak era composto da ragazzi che frequentavano l’università, mentre gli altri tre comprendevano studenti della scuola superiore. Esiste poi un celebre studio effettuato con dattilografi della Marina americana, che dimostrerebbero ancora una volta la solita tesi; tuttavia, occorre sapere che lo psicologo ed educatore August Dvorak era anche il capitano di corvetta August Dvorak, proprio colui che condusse i test. Dvorak, per sopramisura, ricevette anche 130 mila dollari per lo sviluppo del suo progetto dalla Carnegie Commission for Education.
Vi sono poi omissioni, refusi, incongruenze nei rapporti dei test, che fanno pensare a qualche “aggiustamento” a favore della realizzazione di Dvorak.
Infine, esiste uno studio del 1956, condotto da Earle Strong, al tempo ricercatore della Penn State’s Smeal College of Business, per conto della General Service Administration del governo americano. Lo studio si componeva di due parti: nella prima si prendeva un campione di dattilografi e lo si addestrava all’uso della tastiera Dvorak, sino a che non avessero raggiunto con questo metodo la loro velocità massima ottenuta con la tastiera QWERTY. A questo punto si divideva il campione in due metà, che continuavano l’addestramento ciascuna in una delle due tastiere.
Lo studio mostrò che il miglioramento delle prestazioni era maggiore per gli utilizzatori della tastiera QWERTY. Pur non simmetrico, soggetto a ragionevoli critiche e con qualche contraddizione metodologica, lo studio fu sufficiente per far cadere in disgrazia la possibile sostituta della tastiera QWERTY.

Ovvio che, a margine di questi eventi, la sostituzione di uno standard è cosa di per sé difficile, per le diseconomie dovute al disapprendimento del vecchio metodo, l’apprendimento del nuovo e la sostituzione di tutto il parco macchine. Si tenga presente che l’obsolescenza delle macchine per scrivere, pur sottoposte ad uso intensivo, non è lontanamente paragonabile a quella degli attuali personal computer, per cui uno sforzo di questo genere sarebbe stato visto dalle amministrazioni con un occhio estremamente severo.
I sistemi tecnologici, però, in presenza delle giuste condizioni, banalmente mutano, e chissà che tra qualche anno non ci si possa trovare di fronte a tastiere come la Maltron. Prende il nome dal suo inventore, Lilian Malt, che la concepì negli anni ’70 soprattutto al fine di evitare affaticamenti da stress come la sindrome del tunnel carpale. Quella nell’immagine qui sotto è la versione per la mano destra.

Introduzione a Technoratio

In un breve tempo questo post finirà in basso, sepolto dagli altri. Ma è il punto di partenza. La storia procede in questo modo: gli eventi fondanti sono quelli più distanti, e per questo sono i più difficili da ricordare. Ugualmente, e forse in misura superiore, gli oggetti e i sistemi tecnologici presenti “sotterrano” quelli passati, che sono dimenticabili e dimenticati.
Il telefono con il compositore a disco è pressoché sconosciuto ai bambini che oggi frequentano la scuola elementare, eppure è l’apparecchio dal quale si sono sviluppati gli attuali cordless. Vale la pena ricordarsene per qualche motivo?
Facciamo una supposizione forte: non è utile, se non per curare qualche prurito intellettuale, ricordare e raccontare la storia passata degli oggetti e dei sistemi (operazioni tipiche della storia della tecnologia), al fine di capire meglio la loro collocazione nella tecnosfera e nella società.
Questo blog si propone di falsificare questa supposizione.

Punti di partenza potranno essere riflessioni su nuovi oggetti, storie di oggetti passati, considerazioni su libri e valutazioni di eventi di portata generale o più strettamente legate ad ambiti tecnologici.