07 – il tempo di tutti

Sin dall’epoca di Dante era ritenuto un prestigio, da parte delle cattedrali e delle sedi vescovili, possedere orologi meccanici. Gli orologi era pezzi spesso molto costosi, per cui richiedevano una certa cura e manutenzione; di conseguenza divenne necessario l’assunzione di una persona addetta alla custodia e alla gestione del congegno. Quest’attività si perfezionò nel tempo fino a rendere tale mansione una vera e propria professione.

E’ con tutta probabilità la Commedia dantesca fornire le prime descrizioni dell’orologio meccanico. Ciò significava che gli orologi avevano acquistato già una certa visibilità al di fuori della stretta cerchia dei tecnici. Dante sfrutta l’orologio per condurre analogie sui movimenti rotatori, ripetitivi e regolari. Ecco gli estratti dai canti x (vv. 139-148) e xxiv (vv. 13-18).

Indi, come orologio che ne chiami
ne l’ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché l’ami,
che l’una parte e l’altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota,
che ‘l ben disposto spirto d’amor turge;
così vid’ ïo la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra
e in dolcezza ch’esser non pò nota
se non colà dove gioir s’insempra.

In questo passo Dante parla di un orologio che scandisce l’ora delle lodi, perfettamente inserito, quindi, nella divisione religiosa della giornata, e che per parte tira e per parte spinge al fine di produrre un tintinnio. Si tratta per certo di uno svegliarino monastico, nel quale al raggiungimento di una certa ora, l’asse di un martelletto era connesso in qualche modo all’asse dello scappamento, producendosi così in percussioni alternate di una campanella.
Nel passo che segue, invece, si descrivono le diverse velocità delle lancette indicanti ore, minuti e secondi.

E come cerchi in tempra d’orïuoli
si giran sì, che ‘l primo a chi pon mente
quïeto pare, e l’ultimo che voli;
così quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.

Esempio di orologio monumentale è quello della cattedrale di Strasburgo, installato nel 1350. Ecco come il sito www.strasburgo.eu descrive i più caratteristici movimenti dell’orologio:

“L’Orologio affascina soprattutto per il gioco dei meccanismi che, ogni giorno, alle ore 12.30, si mettono in moto contemporaneamente. Il primo quarto d’ora è scoccato da un putto alato, il secondo da un fanciullo adolescente, il terzo da un adulto e il quarto da un vecchio a simboleggiare le quattro età della vita. Tutti sfilano davanti alla morte che ha in una mano una falce e nell’altra un battaglio col quale batte le ore mentre le età, dopo i rintocchi dell’ora un’altra figura di putto alato rovescia la clessidra che tiene in mano.
Allo scoccare del mezzogiorno le statue rappresentanti gli apostoli sfilano davanti a Gesù che, passato l’ultimo apostolo, benedice i visitatori; durante la sfilata degli apostoli un gallo canta per tre volte. I giorni della settimana sono rappresentati dalle divinità: Apollo la domenica, Diana il lunedì, Marte il martedì, Mercurio il mercoledì, Giove il giovedì, Venere il venerdì e Saturno il sabato. L’anno è descritto da un calendario perpetuo a forma di anello con i mesi, i giorni e i rispettivi santi, le feste fisse e mobili.”

Nonostante in Occidente si registrassero progressi in questa direzione, fino all’inizio del xv secolo gli orologi meccanici rimasero rari; se ne avevano esempi solo tra le classi più abbienti oppure, come visto, nelle chiese di una certa importanza.

Tuttavia, parallelamente allo sviluppo delle tecniche metallurgiche, nel xv secolo fu ideato un nuovo meccanismo per l’immagazzinamento dell’energia: la molla. Ciò ebbe alcuni effetti: la miniaturizzazione degli orologi, l’aumento della loro domanda e la diffusione della professione dell’orologiaio. Costui, inoltre, non era più un fabbro “prestato” a un’altra produzione, come lo era stato nei secoli dal xii al xiv, ma un artigiano più simile a un orafo, per la precisione richiesta dalle lavorazioni, e per le leghe più nobili utilizzate.

Abbinata alla molla vi era un altro meccanismo: la conoide. Si tratta di una sorta di boccola scanalata, con un profilo che segue grossomodo l’andamento di un braccio iperbolico. Tale profilo è utile per avere un momento risultante pressoché costante pur a fronte della diminuzione della forza rilasciata dalla molla. Posto che questa diminuzione possa essere rappresentata linearmente, si cha che in ogni istante il prodotto tra forza e braccio (pari al momento) è quasi costante, e costante è il risultante movimento delle lancette dell’orologio.

La tecnologia in Dante – un abbecedario (N-Z)

Noce: nella Crusca la parola è spiegata come indicante “quella parte della balestra alla quale si fermava la corda, per caricare l’arme” (Pd ii 24).

Orologio: in Pd x 139 e Pd xxiv 13, “congegno meccanico fornito di ruote dentate azionate da pesi e contrappesi o forse anche da molle, conosciuto in Occidente verso la fine del secolo xiii: e i due luoghi danteschi sarebbero appunto tra le prime testimonianze dell’uso di tali orologi a rotismi.

Palanca: ricorre come variante di pala in If xxiii 48, ad indicare una “tavola di legno” da usare come ponticello su un piccolo corso d’acqua. L’esame del contesto invita a rimanere nella lectio vulgata (come nel Petrocchi).

Poggia: p. “è una fune che tiene l’uno capo de l’antenna che tiene la vela pendente; e per questa poggia dà ad intendere lo lato destro de la nave” (Buti). In Pg xxxii 117.

Privado: “latrina”, “pozzo nero”: il termine, che negli antichi testi compare per lo più nella forma –to, si registra soltanto in If xviii 114.

Quadrello: nel senso proprio di “freccia” in Pd ii 23, oltre che nel Fiore (xxix 14, lxxi 14).

Rizzatoio: “drizzacrine”, cioè pettine d’avorio o d’osso, appuntito da una parte, usato per spartire i capelli in mezzo alla testa (Fiore, lii 12).

Scuriada: sferza, frusta di cuoio per incitare i cavalli. Dal latino tardo excorrigiata, da corrigia; in Salimbene “scuriata”. I codici settentrionali tramandano forme analoghe: scoriada, scorriata; l’uscita del Landiano, scorrigiada, è più vicina all’etimo.

Spuntone: arma costituita da un’asta con un lungo ferro quadro, e non molto grosso, ma con punta acuta”. Ricorre due volte nel Fiore, come simbolica arma di pietà (vii 14, cviii 9).

Staio: dal latino sextarius, la sesta parte del congio; indicava un’unità di misura di capacità per grano e altri aridi, e per traslato, il vaso con cui si effettuava tale misurazione (Cv IV xi 8, Pd xvi 105, Pg xii 103-105).

Stocco: spada lunga ed aguzza, particolarmente adatta al tocco di punta (Rime Dubbie, v 17).

Stregghia: allotropo toscano e centro-meridionale di “striglia”, strumento di ferro per la pulizia di cavalli e bovini, usato da Dante nell’espressione “menare s.” (If xxix 76).

Tagliata: termine del linguaggio militare, che indicava un’opera di difesa fatta d’un fosso con parapetto di terra e di alberi tagliati, al fine di difendersi, o di ritardare la marcia del nemico (Fiore, cxvi 7).

Uncino: propriamente, è un arnese terminante con una serie di punte metalliche ricurve e inserito in cima a un’asta; Dante chiama “raffi”, “roncigli” o “uncini” i rampini di cui sono armati i diavoli custodi della bolgia dei barattieri (If xxi 57, xxi 73, 86, xxii 69, 149).

Veggia: il termine, sinonimo antico di “botte”, si trova in If xxviii 22, riferito alla figura di Maometto.

Zappa: solo in Cv I viii 9.

La tecnologia in Dante – un abbecedario (A-M)

Ecco un abbecedario di termini legati alla tecnologia presenti nelle opere di Dante.

Alchimia: vocabolo di origine araba, col quale nel Medioevo si designava l’arte di tramutare i metalli ignobili in oro. Ricorre due volte nella Commedia: If xxix 119 e xxix 137.

Balestriera: “feritoia” nei castelli o nelle fortificazioni in genere, adatta per il tiro con la balestra (Fiore, ccxxiii 7, ccxxv 7, ccxxviii 3, ccxxix 10).

Barbacane: in Fiore xxviii 2 è citato come “terrapieno o antenmurale di sostegno e di rinforzo”.

Caditoio: l’aggettivo compare nella descrizione del castello di Gelosia (Fiore, xxviii 12). Le porte caditoie sono dispositivi a saracinesca, che si possono abbassare dall’interno dell’edificio.

Conocchia: è il “pennecchio”, la “massa di fibra” che si compila, si avvolge alla rocca allo scopo di filarla (Pd xv 124, Pg xxi 26).

Crocco: vale “uncino”, “rostro”, “arma con cui afferrare” (Detto, 366).

Darzanà: dall’arabo dar sina a, “casa di costruzione”, “arsenale” (If xxi 7). Quello citato è quello di Venezia, che sarà poi osservato da Dante durante una visita compiuta tra il 1308 ed il 1310.

Elsa: solo una volta, in senso proprio: Pd xvi 102.

Ferratura: è l’armatura di ferro che si suol porre a rinforzo di un oggetto (Fiore ccxxviii 12).

Frenaio: l’artigiano che fabbrica morsi per cavalli (Cv IV vi 6).

Giomella: è un’unità di misura, corrispondente alla quantità contenuta nel cavo delle mani accostate (Fiore cviii 4).

Imbertescato: participio passato di ‘imbertescare’, usato con valore aggettivale in Fiore xxviii 10. Vale “munito, difeso con bertesche”, che erano fortificazioni in forma di piccole torri costruite sopra maggiori corpi difensivi.

Limone: francesismo del Fiore (ccxvii 6), indicante propriamente ciascuna delle due stanghe del carro tra cui si pone il cavallo. Da cui limoniere, il cavallo che sta tra i ‘limoni’ del carro (Fiore, ccxvii 9).

Lulla: ciascuna delle due parti, a forma di segmento circolare, costituenti gli elementi laterali del fondo delle botti, oggi dette “lunette” (If xxviii 22).

Maciulla: nel senso proprio di “gramola”, “macchina per tritare il lino” o per dividere le fibre della canapa, in similitudine con le bocche del triforme Lucifero (If xxxiv 56).

Manganello: anticamente una macchina da guerra per scagliare grosse pietre o proiettili, nelle città assediate. Tre volte nel Fiore (xxix 12, li 12-14, xcviii 8). Vedi trabocco.

(continua)