08 – l’ora esatta

Volendo brevemente tracciare l’evoluzione degli orologi seguendo la precisione raggiunta, si può fare riferimento anche qui a Cipolla, che nel suo Le macchine del tempo presenta un grafico a far data dalla metà del xiv secolo, da prima che appaiano gli orologi con bilanciere a verga. In corrispondenza dell’introduzione di questo meccanismo si ha uno scarto giornaliero che passa dall’ordine del migliaio di secondi (tra i 16 e i 17 minuti) a uno di qualche centinaio. L’avvento del pendolo con Huygens nel 1657 dà luogo alla maggiore rivoluzione tecnologica nel campo dell’orologeria, poiché l’errore giornaliero scende drasticamente a circa una decina di secondi, ossia cento volte più piccolo di quello di tre secoli prima.
I perfezionamenti degli scappamenti, riguardanti per lo più il controllo degli attriti, danno miglioramenti incrementali, che saranno amplificati, nella prima metà del xviii secolo, prima dalle tecniche di compensazione della temperatura, principalmente a opera del’inglese George Graham, che nel 1726 diede notizia delle sue realizzazioni nelle Philosophical Transactions, e successivamente dai meccanismi a frizione ridotta che permisero a John Harrison di assicurarsi il Longitude Price. Il cronografo di Harrison scartava giornalmente di non più di tre decimi di secondo.
Il xix e l’inizio del XX secolo videro altri miglioramenti, dovuti a sistemi di compensazione rispetto all’azione della pressione atmosferica, e a riduzioni degli attriti. Con la compensazione barometrica di Alvin Robinson, lo scappamento del tedesco Sigmund Riefler e le riduzioni degli attriti operate da William H. Shortt l’errore giornaliero passò all’ordine di grandezza del millisecondo. Sino a questo momento (1929 circa) il pendolo era stata la base del funzionamento dei più precisi orologi esistenti.

Una nuova importante svolta si ebbe nel 1928, con l’invenzione dell’orologio al quarzo, che basa il calcolo sulle regolari vibrazioni meccaniche prodotte da un cristallo di quarzo. Un cristallo di questo materiale possiede la caratteristica della piezoelettricità: se sollecitato meccanicamente, vede la generazione di una differenza di potenziale ai propri poli; all’inverso, se percorso da corrente a una certa frequenza caratteristica, detta di risonanza, è in grado di vibrare. La frequenza di vibrazione è proporzionale alla forma e alla dimensione del cristallo, e soprattutto è costante. Come tale può essere utilizzata come segnale meccanico utile per il funzionamento di un orologio (occorre la realizzazione di un semplice circuito RLC). L’orologio al quarzo può raggiungere precisioni giornaliere vicine alla centesima parte di millisecondo.
A partire dagli anni ’60 l’evoluzione tecnologica permise la realizzazione dei primi orologi da polso al quarzo (il cui funzionamento dipende anche da una differenza di potenziale elettrico). Contemporaneamente si diffondevano quelli controllati a transistor e quelli a diapason basati sulle oscillazioni di un elemento in acciaio.
Considerando invece il dominio delle altissime precisioni, gli orologi atomici sfruttano le frequenze di oscillazione proprie di un certo atomo. Il più utilizzato è il cesio; per questo motivo la definizione operativa ultima del secondo è la sua uguaglianza con 9.192.631.770 cicli della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli energetici dello stato fondamentale dell’atomo di cesio. Ciò permette a tali strumenti di avere errori che non sorpassano il miliardesimo di secondo al giorno.
Sviluppi futuri vedono l’uso di “trappole di ioni” di mercurio, che secondo le attese potranno dare precisioni di 5 ordini di grandezza maggiori.

08 – l’ora dei naviganti

All’inizio del xviii secolo si fece sempre più pressante il problema della determinazione della longitudine in mare aperto. Tale problema si percepì maggiormente nella navigazione transoceanica, dove uno scarto di pochi gradi poteva avere conseguenze disastrose sull’esito geografico del viaggio.
La latitudine è determinabile da osservazioni astronomiche, mentre per la longitudine è necessario conoscere l’ora esatta locale e quella di un meridiano fondamentale. Gli orologi del xviii secolo erano messi fuori uso dalle oscillazione delle navi per cui il governo inglese promosse lo studio di sistemi alternativi.

Nel suo Longitudine, Dava Sobel chiarisce con estrema capacità di sintesi il nocciolo del problema:

“Ogni marinaio un po’ avveduto può misurare la latitudine dalla lunghezza del giorno, dall’altezza del sole, dalle note stelle di riferimento sopra l’orizzonte. Cristoforo Colombo seguì una rotta quasi rettilinea attraverso l’Atlantico quando « salpò il parallelo » nel suo viaggio del 1492; e la tecnica l’avrebbe senza dubbio portato alle Indie se non si fossero messi di mezzo gli americani.
La misura dei meridiani di longitudine, invece, è influenzata dall’ora. Per calcolare la longitudine in alto mare bisogna sapere non soltanto che ora è a bordo della nave in un dato momento, ma anche che ora è, in quello stesso istante, nel porto di partenza o in un altro luogo di cui si conosca la longitudine. Le ore segnate dai due orologi rendono possibile al navigante la trasformazione della differenza oraria in distanza geografica. Poiché la Terra impiega ventiquattro ore per compiere un’intera rotazione di trecentosessanta gradi, un’ora equivale a un ventiquattresimo di giro, ovvero a quindici gradi. Quindi la differenza di un’ora tra la posizione della nave e il punto di partenza indica un avanzamento di quindici gradi di longitudine verso oriente o occidente. […] Quegli stessi quindici gradi corrispondono anche a una certa distanza percorsa. All’Equatore, dove la circonferenza della Terra è massima, quindici gradi vogliono dire mille miglia. A nord e a sud di tale linea, il valore di ciascun grado, misurato in miglia, diminuisce. Un grado di longitudine equivale a quattro minuti in tutto il mondo, ma in termini di distanza un grado si contrae dalle sessantotto miglia all’Equatore sino allo zero virtuale dei poli.”

Nel 1714 il governo britannico istituì un premio in denaro (20000 sterline) per chi avesse trovato un metodo abbastanza preciso e adatto per l’uso a bordo di una nave, per determinare la longitudine locale, o meglio per la determinazione delle coordinate locali nella navigazione in mare aperto.
Tra le proposte presentate al concorso, molte furono basate su tecniche astronomiche, ma ci furono anche quelle basate su considerazioni parascientifiche o pseudoscientifiche: i cani feriti bendati e posti sulle navi, e l’uso dell’unguentum armarium come mezzo per l’azione a distanza; si ricordano in questo contesto le opinioni illustri di Champlain e di Swift, che affermarono l’impossibilità per l’uomo di trovare una soluzione efficace per il problema della longitudine.

L’orologiaio John Harrison risolse il problema costruendo nel corso di quasi trent’anni di lavoro una serie di orologi meccanici adatti allo scopo. Presentò nel 1735 il suo primo cronometro di precisione, realizzando altri due prototipi nel 1739 e 1749, finché non giunse al modello definitivo nel 1759, sperimentato in due traversate atlantiche. Il cronometro fu anche usato da James Cook per il suo viaggio esplorativo nell’Oceano Pacifico meridionale.
L’H4 (“Harrison 4”) fu il modello definitivo presentato alla commissione; questa però non ritenne del tutto affidabile un sistema che non tenesse conto dell’osservazione astronomica ed accordò ad Harrison solo una parte del premio in palio, rimettendo la concessione della seconda metà del premio una volta che Harrison, al tempo quasi settantenne, avesse completato due ulteriori esemplari dell’H4.