vapore, elettricità, sveglie e traffico

La macchina a vapore di Jonathan Hornblower

Che la tecnologia sia plasmata dall’uso che le persone ne fanno è cosa condivisa, e tra gli altri bene ha descritto queste dinamiche Wiebe Bijker, nel suo La bicicletta e altre invenzioni, dove spiega come forma, uso e destinazione di oggetti tecnologici comuni quali la bicicletta, la bachelite e la lampadina non siano solo stati determinati dalla produzione o dalle loro caratteristiche materiali e strutturali, ma molto da come sono stati recepiti e plasmati dai loro utilizzatori finali. Qualche altro post potrà indagare in questa direzione.
Questa operazione plastica va a braccetto con l’introduzione di nuove tecnologie, specie quando queste riguardano le fonti di energia. Così, quando è stata perfezionata la tecnologia della macchina a vapore, nell’ultimo quarto del secolo xviii, in modo quasi immediato, sebbene il tempo di questo tipo di reazione abbia subito variazioni considerevoli nel corso degli ultimi tre secoli, la tecnologia è stata applicata, o almeno si è provato a farlo, a una gran varietà di campi: pompe idrauliche (l’ambito di nascita e sviluppo della tecnologia), opifici, battelli, carri su rotaie (altrimenti noti come treni), carri a corsa libera (da cui le automobili), sino alle macchine volanti (il dirigibile di Giffard del 1852). Ovunque ci fosse bisogno di energia, a sostituzione di altre fonti come quella idraulica, o ex novo, si provò l’installazione di una macchina a vapore. In qualche caso l’uso fu continuato, in altri fu abbandonato.
Un secolo dopo avvenne il medesimo fenomeno con l’avvento dell’elettricità, con le dovute differenze: risultò tecnicamente impossibile far viaggiare una nave o una macchina volante a corrente elettrica per l’impossibilità di installarvi a bordo un generatore di corrente adeguatamente dimensionato, ma le automobili, le macchine operatrici e i treni elettrici (non i trenini da gioco, ma le elettromotrici) furono ampiamente, e quasi sempre con successo, sperimentati. A queste applicazioni si aggiungevano quelle legate all’illuminazione, al riscaldamento e ad altri usi nei quali l’effetto Joule era volutamente favorito. Anche qui, le automobili elettriche, a causa anche (ma non solo) dell’uso tipico che si faceva delle autovetture, diventarono un fiume carsico che solo negli ultimi anni è tornato alla superficie.
A distanza di cinquant’anni circa una nuova fonte: l’energia nucleare. In questo caso, un infernale percorso lastricato di buone intenzioni. Basti comunque dire che nel corso degli anni Cinquanta del xx secolo la rivista “Popular Mechanics” titolò svariate volte di come l’automobile nucleare fosse di imminente introduzione commerciale.
Avvicinandoci ai nostri giorni, non è tanto l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili a segnare il mainstream. Motori a scoppio per applicazioni veicolari e motori (o macchine) elettrici per le applicazioni fisse sono la regola, e lo saranno ancora per almeno un decennio, sino all’assottigliamento definitivo delle risorse fossili; è invece in mutazione la gestione dell’energia che serve per la trasmissione dell’informazione.
Prima dell’informatica, si ebbe la stagione dell’elettronica, con le valvole prima, e i transistor poi, e in particolar modo il secondo è stato applicato a una molteplicità ancora più vasta di oggetti, arrivando alle scarpe, ai portachiavi e agli impianti chirurgici come il pace-maker.
Da una decina d’anni, invece, si assiste al processo per il quale nessun oggetto tecnologico o essere biologico si può dire salvo a lungo termine dall’installazione di un microprocessore.
La riflessione che si vuole portare è semplice: si sicordi che l’ultimo processo descritto è in pieno corso, e l’evoluzione, ad esempio, dell’Internet delle Cose è tutta da giocarsi. Esiste la (radio)sveglia che, ottenendo un insieme di informazioni provenienti da una centrale di gestione del traffico automobilistico, si prende la briga di anticipare o posporre il momento del risveglio del proprio possessore, consentendogli comunque di arrivare in orario in ufficio.
Sottostante al corretto funzionamento del dispositivo sta l’ipotesi ancor più algoritmica della costanza del tempo impiegato dalla persona per lavarsi, vestirsi, fare colazione, prendere le proprie cose e uscire di casa. E se non volessi farmi la doccia? Se mi si rompesse la stringa della scarpa come a Fantozzi? Se volessi mangiare molto di più? Se proprio sull’uscio mi si parasse dinanzi la prospettiva di una congiunzione carnale? Il ritardo sarebbe certo, e responsabile ne sarebbe la sveglia.

Svegliarino monastico (tarsia su legno, sec. xv)

Solo l’uso reale e diffuso di questi oggetti tecnologici ne segnerà lo sviluppo; solo dopo molti ritardi al lavoro scopriremo se alla sveglia saranno state incluse funzionalità quali l’analisi del tasso di testosterone o progesterone, quella dell’odore ascellare, delle caratteristiche funzionali dei vestiti predisposti per la giornata, della glicemia e della serotonina del soggetto da svegliare. Oppure, se il principio alla base del funzionamento dello svegliarino dei monaci benedettini continuerà a valere per l’inizio delle nostre giornate.

16 – non solo amici dei minatori

Col crescere della complessità cresceva anche il problema del controllo dell’ottimizzazione dei tempi di ogni singolo ciclo. Basti pensare che in una macchina come quella di Newcomen in ogni ciclo dovevano essere aperte e poi richiuse decine di valvole in tempi ben stabiliti con un ordine ferreo e inviolabile. Se tali rigide regole di precedenza e sincronismo fossero state trasgredite non solo la macchina non avrebbe funzionato ma si avrebbe rischiato la compromissione dell’intera struttura per non dire l’esplosione dell’intero stabilimento. Ecco perche si cercò sempre più di automatizzare il sistema di apertura e chiusura delle valvole con gli automatismi propri del ciclo della macchina.
Questo tipo di ottimizzazione consenti poi la vendibilità del “prodotto-macchina” come standard e riproducibile praticamente in serie, aprendo cosi un nuovo tipo di mercato.
Sistemi di apertura e chiusura delle valvole per l’immissione e lo scarico del vapore (ed acqua) erano automatizzati attraverso il moto dell’asta della pompa d’iniezione sincronizzata con il moto del bilanciere. La possibilità di tale automatismo, non esistente in origine, fu consigliata da un giovane operaio addetto alle aperture e chiusure delle valvole, Humphrey Potter: questi collegò con delle corde le due valvole all’asta in moto con il bilanciere e se ne andò a giocare con gli amici, avendo reso automatiche tali operazioni.
La tenuta dello stantuffo era realizzata mediante rivestimento del medesimo con del cuoio reso a tenuta d’aria mediante il rigonfiamento provocato da acqua situata nella parte superiore dello stantuffo, ottenendo una buona soluzione ma ancora lontana da una buona tenuta. Il tutto era di notevoli dimensioni: l’altezza del solo cilindro poteva arrivare quasi ai 4 metri. Il bilanciere realizzava 12 oscillazioni al minuto in ciascuna delle quali sollevava 45 litri d’acqua da 46 metri di profondità mediante l’uso di una serie di pompe. La sua potenza si poteva stimare intorno ai 5 cavalli vapore. Tale macchina ebbe un gran successo ed in sessanta anni se ne fabbricarono oltre 120 esemplari.
Culmine tecnico per la costruzione di macchine a vapore fu raggiunto da James Watt che con la sua macchia riuscì a ottimizzate al meglio i principi della termodinamica in una struttura dal alto rendimento e dalla gestione semi-automatica.
I principi di funzionamento della macchina possono essere così riassunti: Il vapore prodotto dalla caldaia entra nel cilindro e solleva il pistone (in tale fase la valvola B è aperta e la A è chiusa). Appena il pistone è arrivato alla sommità del cilindro si chiude B e si apre A: una pompa aspira il vapore dal cilindro. Il cilindro scende in basso ad opera della pressione atmosferica (il cilindro mosso dal solo vapore sarà in un modello di macchina successivo). Il vapore aspirato va nel condensatore per ritornare allo stato liquido. Si riapre la valvola B e si richiude la A per iniziare un nuovo ciclo. Nel frattempo l’asta del pistone compie lavoro attraverso l’oscillazione del bilanciere che aziona la pompa della miniera. Il bilanciere, come lavoro secondario, aziona anche la pompa che aspira il vapore dal cilindro.
Watt non si limitò a sfruttare al meglio la potenza di un ciclo, ma riuscì a raddoppiare tale potenza accoppiando due cicli; regolò altresì il funzionamento della macchina in maniera automatica con una valvola tarata su valori soglia: il governor.
Nel 1782 Watt realizzò la macchina a doppio effetto, che in pratica raddoppiava la potenza della macchina semplice a parità di cilindrata. Si trattava di immettere il vapore alternativamente sulle due facce dello stantuffo. In tal modo si abbandonava l’intervento diretto della pressione per far scendere lo stantuffo medesimo e si apriva alla possibilità di macchine con cilindro non più necessariamente verticale. I problemi con il doppio effetto erano legati al trasferimento del moto al bilanciere. La catena non era più utilizzabile; ora serviva un meccanismo rigido. Watt risolse brillantemente anche questo problema con il sistema detto parallelogrammo articolato o a tre leve. Infine Watt realizzò una valvola regolatrice centrifuga (aggiunta nel 1788), accoppiata con un meccanismo che regolava l’immissione del vapore (ancora il governor) per mantenere la macchina a velocità costante.
Il regolatore di Watt faceva accelerare la macchina se rallentava per il troppo carico o la faceva rallentare dopo un’accelerazione dovuta a diminuzione di carico. Se la velocità della macchina aumentava le due sfere si divaricavano e, per mezzo di leverismi, facevano chiudere parzialmente la valvola a farfalla. La quantità di vapore che giungeva nel cilindro diminuiva e la macchina rallentava. Se la macchina ritardava, si verificava esattamente il contrario.
Il governor forniva anche un’idea qualitativa del lavoro compiuto dalla macchina, ed anche visivamente rendeva conto della velocità di operazione della medesima: più si sollevavano le palline, nel moto rotatorio che competeva loro, maggiore era la velocità della macchina.
Il governor è un esempio di feedback, in una macchina che si autoregola e autogestisce: i giri motore a valle influenzano la chiusura della farfalla; in altre parole, l’uscita della macchina influenza l’ingresso.

15 – cotone e vapore

Il settore tessile

Fu uno dei settori industriali che più si sviluppò in modo rivoluzionario. Ci fu un netto passaggio dalla lana al cotone, passaggio determinato da più fattori:
1) la lana era difficilmente lavorabile a macchina per via delle proprie caratteristiche meccaniche, mentre il cotone ha un comportamento migliore;
2) il cotone aveva una maggiore commerciabilità all’esterno dei confini britannici, in quanto tessuto più leggero.

Tutta la filiera tessile fu interessata da innovazioni tecnologiche.
Sgranatura: con l’operazione manuale, la bambagia che avvolge il seme è sfilata dalla capsula rigida che la circonda eseguendo una procedura che è più facile per dita piccole, come quelle dei bambini o delle donne. La sgranatrice automatica del cotone è inventata da Eli Whitney nel 1793: la macchina sbriciolava la capsula, portando via la bambagia con l’azione di un pettine di fili d’acciaio, chiodi o cardi; ciò che restava era la massa di cotone, poiché il pettine aveva una densità tale da impedire il passaggio dei semi.
Filatura: con l’arcolaio, dalla matassa si formava il filato, arrotolandolo su fusi (rocchetti) in modo tale da imporre una torsione (la cosiddetta torcitura, operazione in grado di garantire al tessuto maggiore resistenza meccanica). Una macchina come la spinning jenny di James Hargreaves (1764) rese possibile la moltiplicazione della produttività della filatura, poiché essa poteva lavorare in contemporanea anche su 30 fusi.
Tessitura: la navetta volante di John Kay (1733) permise un raddoppio della produttività; il telaio automatico di Jacquard (1801) diede però l’avanzamento di maggiore importanza.

Piccola cronologia:
xiii sec.: prime rappresentazioni di arcolaio in Cina
1224: introduzione dell’arcolaio in Francia e in Italia
1470: prima rappresentazione di arcolaio ad alette in Inghilterra
1733: spoletta volante di John Kay
1764: James Hargreaves inventa la spinning jenny, filatrice con più fusi
1779: Samuel Crompton inventa la spinning mule, filatrice automatica a fusi multipli
1784 – Edmund Cartwright realizza un telaio mosso da energia idraulica
1794 – Eli Whitney brevetta la sgranatrice per cotone detta cotton gin
1801 – Joseph Marie Jacquard brevetta il telaio omonimo

La macchina a vapore
Nella localizzazione di un impianto produttivo era da sempre stata necessaria la vicinanza ad un corso d’acqua, in grado di far funzionare le ruote e i mulini atti a garantire forza al processo produttivo. Con la macchina a vapore si superò questo ostacolo, delocalizzando le produzioni dai corsi d’acqua; i canali non erano più necessari per la produzione di energia.
In più, la macchina a vapore era in grado di sviluppare un gran coppia ai bassi regimi, così da avere gran potenza e forza sempre disponibile. L’aspetto maggiormente rivoluzionario sta nella quantità di energia prodotta, molto maggiore di quanto non si fosse mai prodotto. Nel frattempo:
– sviluppo dell’idraulica (e poi della fluidodinamica);
– sviluppo della metallurgia con nuovi combustibili dall’alto potere calorifero e la produzione di altiforni, che offrivano una resa molto maggiore.