Steampunk!

Steampunk è termine che prende le mosse dal termine cyberpunk (la corrente letteraria aperta da William Gibson con il suo Neuromancer, del 1984), nel quale il prefisso cyber è sostituito da steam, ossia “vapore”. E’ una corrente narrativa fantascientifica nella quale si ha la presenza di una anacronistica. Periodo privilegiato per la collocazione di queste storie è il periodo vittoriano in Inghilterra. Pur vedendo questo periodo la comparsa della tecnologia elettrica (in particolare gli ultimi 20 anni del xix secolo), la forma di energia privilegiata è il vapore, caratterizzante la (prima) Rivoluzione Industriale appena conclusa.
Sebbene si immaginino elaboratori, questi non sono elettronici, ma analogici (come lo erano le macchine di Babbage); semmai, l’unica forma concessa al campo elettromagnetico è il magnete.
Iniziatrice del genere è a buon titolo La macchina della realtà, pubblicato nel 1990 a firma di William Gibson e Bruce Sterling.
Tra le opere cinematografiche, La leggenda degli uomini straordinari (2000), con Sean Connery, è tra i migliori esempi di film steampunk. La stessa saga di Mad Max (1979, 1981 e 1985), interpretata tra gli altri da Mel Gibson, può ricadere nella categoria. Non ultimo, Brazil di Terry Gilliam (1985) è da considerarsi appieno come opera del genere.
Qui di seguito sono visibili degli esempi di oggetti steampunk; non per forza sono funzionanti (ma spesso sì!), ma danno un’idea di che cosa sia il filone.

15 – why England first?

Perché la rivoluzione industriale avvenne in Inghilterra? A margine delle principali teorie, possono essere evidenziati alcuni fattori principali.

L’agricoltura
La scoperta dell’America portò con sé una buona varietà di nuove specie vegetali, come il mais, la patata, la canna da zucchero, il tè, il caffè e il cacao. Congiuntamente ai nuovi metodi di rotazione, che sfruttano meglio la produttività del terreno, la produttività vide così un grande aumento.
Con l’ampliamento delle aree utilizzate per l’agricoltura, furono sperimentate nuove tecniche: fu abbandonata la rotazione triennale a favore della quadruplice rotazione (foraggio-orzo-trifoglio-grano), fu intensificata la coltivazione dei cereali, fu selezionato l’allevamento del bestiame (in particolare dei cavalli). Le zone destinate a pascolo furono ridotte, ma la quantità di animali allevati non diminuì: tutto ciò naturalmente accrebbe la quantità di cibo disponibile e migliorò la qualità e la durata della vita.
Cambiò inoltre la struttura della proprietà: all’inizio del xviii secolo nascevano le enclosures, sistema di chiusura degli appezzamenti di terreno, precedentemente libero (vigeva infatti il sistema dell’openfield). A causa di ciò i mezzadri ebbero sempre meno lavoro, causando un forte flusso migratorio verso le città proprio nel periodo in cui le fabbriche si andavano ampliando: la manodopera era assicurata.

La pace
Dal 1701, dopo la pace di Utrecht, alle guerre napoleoniche l’Inghilterra visse un periodo di pace, avendo così la possibilità di concentrare ingenti capitali in settori che non fossero quello bellico. Inoltre moltissimi mercanti provenienti da tutta Europa si spostarono in Inghilterra a causa della disponibilità di denaro e di commercio facile.

L’immigrazione
Il flusso di immigrati stranieri, soprattutto in alcuni settori chiave delle attività produttive, permise lo sviluppo o il perfezionamento di tecniche e settori industriali.
Caso paradigmatico fu quello dell’orologeria, che vide l’afflusso di artigiani dall’estero. Questi consentirono dapprima l’imitazione degli stili continentali, e poi lo sviluppo di un’industria nazionale indipendente.

La flotta
La flotta inglese (mercantile e militare) era la migliore al mondo in questo periodo, ed erano in grado di facilitare il commercio estero garantendogli anche un’adeguata difesa da briganti ed assaltatori lungo le rotte.

La demografia
Migliorò la condizione di vita della popolazione, quindi l’età media e l’età media lavorativa. Tutto ciò attuò una migliore distribuzione della ricchezza rispetto alle altre potenze europee.

I confini
Da più di due secoli non vi era in Inghilterra un sistema di dazi interni, a differenza di quanto avveniva ad esempio in Italia: in questo modo il mercato risultava più omogeneo e i prezzi non si gonfiavano artificiosamente.

La geografia e le materie prime
Tra i fattori: massa territoriale modesta, topografia agevole, costa frastagliata (più facilmente difendibile e idonea alla costruzione di nuovi porti), nuovi canali, ponti e strade costruite a metà del xvii secolo, che agevolarono i trasporti interni. Le risorse dell’isola erano: legno, carbone e ferro, tutto il necessario per un forte sviluppo industriale.

L’etica industriale
L’immigrazione di tecnici stranieri, unitamente agli sviluppi autoctoni, aveva alzato di molto il livello delle capacità tecniche, ma si trovava in Inghilterra un atteggiamento verso la tecnica assai più aperto che in ogni altro paese europeo. I creatori delle macchine inglesi venivano dalla classe media: non era disdicevole per un rampollo inglese impratichirsi delle arti tecniche, anche perché vigeva il sistema della primogenitura, per il quale ereditava tutto il patrimonio della famiglia il solo primogenito. Gli altri figli, oltre alla carriera militare e quella ecclesiastica, dovevano per forza trovare un’occupazione, per cui l’imprenditorialità era uno sbocco naturale.
Inoltre, la mancanza di corporazioni e privilegi industriali è stato a lungo visto come un forte argomento per la supremazia inglese. Gli inventori ottenevano più facilmente finanziamenti per i loro progetti e la rapidità con cui i prodotti del loro ingegno trovavano favore presso le società di manifattura.
Dal punto di vista finanziario, la maggiore accumulazione di capitale e la presenza di tassi di interesse più bassi consentiva a un imprenditore di iniziare la propria attività con una spesa minima. In nessun altro paese d’Europa, infatti, esisteva una struttura finanziaria così avanzata e un pubblico così avvezzo agli strumenti cartacei come in Inghilterra. Ciò aveva due conseguenze di massima: accresceva la responsabilità economica del capofamiglia e costringeva la maggior parte dei figli a guadagnarsi da vivere.
Nacque una nuova classe sociale, il proletariato. Una classe formata da quelle persone che avevano pochissimi averi, basando tutta la loro vita su un salario. La loro unica ricchezza era la prole, i loro figli, in grado di garantire forza lavoro, quindi valore, alla propria famiglia.

15 – Fu vera rivoluzione?

Gli storici comprendono sotto il nome di Rivoluzione Industriale l’insieme dei mutamenti di carattere economico e sociale avvenuti in Inghilterra nell’arco compreso tra la seconda metà del xviii e la prima metà del xix secolo.
Prima ancora che rivoluzionario nei numeri, il periodo vide un cambiamento del modo di produzione, locuzione che indica il complesso delle modalità di detenzione dei mezzi di produzione, dei rapporti tra gli individui, degli schemi di ridistribuzione dei ricavi e dei profitti. Nel xviii secolo in Inghilterra si assistette al sorgere del modo di produzione capitalistico, pressoché coincidente con l’avvento del sistema di fabbrica, nel quale si avevano alcune nuove condizioni:
– la produzione è accentrata in un singolo luogo, detto fabbrica, nel quale sono collocati i mezzi di produzione, sempre più grandi e sempre più difficilmente acquistabili dai privati e installabili presso le abitazioni private;
– i mezzi di produzione sono detenuti dall’imprenditore, che si fa carico di tutti gli investimenti iniziali, e che beneficia degli utili in modo quasi totale;
– i lavoratori non possiedono nulla, e sono remunerati con un salario.
Il modo di produzione capitalistico non cancella gli altri precedenti, che rimangono in vita ove le condizioni non facciano pendere per l’opportunità di scegliere il sistema di fabbrica.

L’espressione “rivoluzione industriale” fu utilizzata per la prima volta dallo storico dell’economia francese Jérôme-Adolphe Blanqui nella sua Histoire de l’économie politique en Europe depuis les Anciens jusqu’à nos jours (1837); la locuzione fu però utilizzata appieno solo dopo la pubblicazione postuma delle Lectures on the Industrial Revolution of the Eighteenth Century in England (1884) dello storico inglese Arnold Toynbee.
Sino alla prima metà del xix secolo fu considerata un evento epocale, senza precedenti sia per il tipo di cambiamento (che introduceva un modo di produzione completamente nuovo) sia per l’entità del medesimo (considerando soprattutto le quantità prodotte). Verso la metà del xx secolo questa posizione fu valutata con un certo criticismo, e si mise in dubbio il carattere “rivoluzionario” dei cambiamenti avvenuti in Inghilterra attorno alla metà del xviii del secolo, ad esempio analizzando i tassi di crescita delle produttività.

Resta il fatto che, a prescindere dalle analisi numeriche, si ha una rivoluzione nella modalità operativa, con due macchine che entrano prepotentemente nella produzione: l’orologio, simbolo dell’organizzazione implementata nelle fabbriche, e la macchina a vapore, che mise a disposizione una potenza mai vista prima, oltre a permettere la delocalizzazione dei siti produttivi rispetto ai corsi d’acqua.

Gli storici hanno poi evidenziato diversi aspetti connotabili come rivoluzionari, mettendo l’accento su aspetti organizzativi, sociali, etici, tecnologici ed economici. Ecco alcune posizioni.
Secondo lo storico dell’economia Carlo Cipolla (1965) si ha un radicale cambio di scelta delle fonti energetiche, e conseguentemente forme di energia crescenti per densità di potenza. Lo storico americano Joel Mokyr (1990) parla invece di una pluralità di cambiamenti che portano a parlare di rivoluzione, tante piccole e singole novità, nella loro pluralità generano l’innovazione.
Ronald Mc Closkey (1981) individua nella rivoluzione industriale l’età del cambiamento; il suo è un approccio positivistico alla realtà industriale nascente. L’attitudine al mutamento, al cambiamento si fa sempre più familiare, viene sistematizzato il cambiamento.
E. A. Wrigley (1987) considera come cruciale la sostituzione delle sostanze minerali in luogo di quelle vegetali o animali.
Il modello di Robert C. Allen (2009) vede come punto di partenza il successo dell’Inghilterra nel commercio internazionale. E’ questo, secondo lo storico americano, il fattore scatenante, grazie al quale, in concomitanza con altri fattori strutturali, si determinarono:
– alti salari;
– basso costo dell’energia.
In questo quadro si innescò la Rivoluzione industriale attraverso:
– un innalzamento della domanda di tecnologia labour saving: proprio per la presenza degli alti salari, era particolarmente conveniente sostituire il capitale umano con le macchine;
– la sostituzione del lavoro con un uso intenso di energia e capitali (accumulati nell’agricoltura).
Una simile situazione creò terreno fertile per le innovazioni, e la rivoluzione industriale si verificò in Inghilterra perché in altri paesi (anzitutto Francia e Germania) non c’era la combinazione “ottimale” dei costi di lavoro ed energia. Quando tale combinazione si verificò al di fuori dell’Inghilterra, la rivoluzione industriale si estese ovunque.

08 – pendoli, coni e molle

Gli orologi meccanici videro un primo deciso aumento della precisione quando si potette compiere in modo adeguato la regolazione, a mezzo dei meccanismi di scappamento che permettono il fluire di un’energia in modo controllato. Uno di tali dispositivi è lo scappamento a foliot. Lo scappamento a foliot è anche descritto nell’Encyclopèdie di Diderot et D’Alembert: esso consiste in un volano dotato di due bracci con pesi che, girando, permette al suo perno di bloccare a intervalli regolari una ruota a dente di sega. Dopo l’avviamento manuale del sistema, s’innesca un feedback; i denti della ruota trasmettono al volano la forza per continuare a muoversi, superando gli attriti.
L’evento che però segnò in modo netto l’ingresso nel cosiddetto “universo della precisione” fu la scoperta delle potenzialità del pendolo da parte di Galileo Galilei. Secondo un racconto quasi leggendario, Galilei osservò le oscillazioni di un lampadario appeso al colmo della navata centrale del duomo di Pisa, da cui ricavò per induzione la legge alla base del funzionamento di questa macchina così semplice eppure così importante nell’età moderna: una massa appesa ad un filo virtualmente inestensibile, messa in moto, continua ad oscillare con periodo costante (il celebre isocronismo del pendolo).
Il periodo di oscillazione del pendolo non dipende dalla massa, ma solo dalla lunghezza del filo (presupposta l’accelerazione di gravità g costante). Applicando tale concetto alla pratica meccanica, già alla fine del xvii secolo comparve negli orologi il nuovo regolatore, con una sensibile diminuzione di errore nella misurazione del tempo. Di questa precisione si servì a piene mani la Rivoluzione Industriale (il cui inizio convenzionale è fissato nel 1750 in Inghilterra), per la necessità di scandire i turni dei lavoratori. Lo storico dell’economia David Landes arrivò persino a definire l’orologio come vera macchina rappresentativa dell’età industriale in luogo della maggiormente considerata macchina a vapore.

Ancora prima del pendolo, agli albori dell’età moderna, iniziò pure un processo di miniaturizzazione, che portò agli orologi da polso e tascabili, e che avvenne soprattutto al perfezionamento delle molle a spirale. La molla immagazzina energia e la rilascia gradatamente per mezzo di uno scappamento. Poiché però la forza rilasciata diminuisce in ragione in prima approssimazione lineare, affinché il momento angolare erogato sia costante, alla molla è accoppiato un elemento detto conoide, il cui profilo è simile a quello di un braccio iperbolico: in questo modo, in ogni momento il prodotto della forza rilasciata per il braccio della forza, pari proprio al momento angolare, può essere considerato come costante. Di conseguenza l’orologio “cammina” in modo uniforme.

La tecnologia e la cultura relative alle macchine del tempo creano una sorta di casta, una corporazione, formata da individui di estrazione medio-alta, che si trasmettono il sapere e la professionalità in particolare per via genealogica, o comunque secondo le regole ben definite proprie di una corporazione. Come ricorda Carlo M. Cipolla nel suo Le macchine del tempo, “di trentatré orologiai operanti a Lione tra il 1550 e il 1650, tredici erano figli di orologiai, otto di orefici, meccanici, insegnanti e sarti”. La provenienza da ambiti nei quali la precisione aveva un qualche considerevole peso era titolo preferenziale.
Si consolidarono centri europei di maggiore importanza nel campo dell’orologeria: Parigi, Lione, Ginevra, Blois, Tolosa, Londra, L’Aia erano i più celebri. Si trattava di città mercantili, con forte vocazione commerciale, spesso dotate di tradizione nel campo della lavorazione dei metalli.

Il settore dell’orologeria era estremamente dinamico, sia dal lato del prodotto sia da quello della circolazione del sapere tra gli esperti: basti dire che, come spiega sempre Cipolla (Le macchine del tempo), gli orologi costruiti in Inghilterra alla fine del xvi secolo erano riproduzioni di modelli francesi e tedeschi. L’imitazione è però utile: furono gli inglesi a inventare la suoneria notturna a ripetizione o comandata. Dal canto loro, gli orologiai svizzeri già alla fine del xvii secolo producevano pezzi senza “firma”, utilizzabili in altri paesi come base per i prodotti finiti.
A testimonianza dell’ampiezza del mercato e della specializzazione e diversificazione tra le diverse fasi della produzione, a Ginevra nacquero corporazioni come quella dei montatori d’orologio (1698) e dei cesellatori (1716).