La cura del piombo

le_parole_sono_importanti_tutte_quante“Le parole sono importanti!”, urlava Nanni Moretti in Palombella rossa.

Occorre stare attenti alle parole che provengono da traduzioni automatiche, ma anche ai ben noti – ma sempre subdoli – “falsi amici”. Altavista Babelfish, il nonno dei traduttori, traduceva “aprìle” (altro film di Moretti) con “open them”. Oggi disponiamo di altre chicche, alcune evidenti, altre più nascoste: “confidente” come traduzione di confident, “puntare” per to appoint o il mirabile “la cura del piombo” per lead nurturing.

“L’importante è capirsi” è una classica obiezione. Ma se non si sta attenti, si rischia di perdere porzioni troppo importanti di significato.

L’attento uso delle parole è essenziale per trasmettere le idee. Conoscere le parole significa conoscere un sistema di pensiero. Nelle campagne marketing e nella comunicazione aziendale va posta la massima cura alle traduzioni e alle parole, affinché nessuna porzione di significato vada persa, perché nulla sia lost in translation.

10 – la stampa a caratteri mobili

Convenzionalmente si può datare la nascita della stampa tipografica di Gutenberg intorno al 1450. Il valore aggiunto di tale procedimento è rappresentato dall’utilizzo di superfici di stampa costituite da carta resistente a considerevoli pressioni e dal metodo di impressione dell’inchiostro. I caratteri erano allineati in riga in modo da formare una pagina e, una volta cosparsi di inchiostro, venivano pressati su un foglio di carta o di pergamena.
Il successo del sistema fu decretato dall’enorme aumento della produttività che derivò dal suo impiego. Parallelamente diminuivano il lavoro svolto e il tempo impiegato nella esecuzione delle singole stampe, oltre che il capitale investito. I caratteri erano realizzati in una lega di piombo e stagno, sufficientemente resistente alla compressione e con basso punto di fusione. Ciò consentiva una più semplice sostituzione delle matrici, rifuse nella stessa stamperia. L’inchiostro originariamente adoperato era una soluzione acquosa di gomma (che fungeva da agente addensante) avente come pigmento il nerofumo (banalmente, fuliggine) o una sospensione di gallato ferrico. Solo successivamente fu introdotto l’uso di un inchiostro a base di olio di lino (lo stesso usato in pittura nelle colorazioni), di cui non si conosce l’inventore, sia pure alcuni ritengono sia stato Gutenberg. Tale tipo di inchiostro permise l’adozione del torchio tipografico, derivato dalle presse a vite usate per la produzione del vino, che permetteva l’uniforme distribuzione dell’inchiostro sulla carta.
Il numero di copie di un singolo foglio realizzabili da una coppia di stampatori si attestava intorno alle 200 unità giornaliere e, raggiunta la tiratura pianificata, era necessario riordinare i caratteri secondo l’ordine che essi assumevano nella pagina successiva da stampare. Tale operazione era molto complessa considerando che una singola pagina della Bibbia di Gutenberg contiene circa 2750 lettere. Anche la fusione dei caratteri, richiedeva notevole impiego di manodopera: ciascun carattere a forma di prisma quadrangolare (alto circa 2,5 cm), necessitava di finiture manuali per essere conforme agli standard. Durante la stampa erano necessari complessivamente 20000 caratteri, ma una coppia di operai era in grado di realizzarne solo 25 all’ora.
La composizione dei caratteri di una singola pagina richiedeva molto tempo: l’addetto doveva prenderli da una serie di cassettini e ordinarli in un vassoio di legno utilizzando delle pinze metalliche, onde evitare che il sudore delle dita, permanendo sul carattere, potesse acidificare la soluzione dell’inchiostro. Terminata questa fase, vi era un correttore di bozze o “lettore”, solitamente un dotto, che controllava l’assenza di errori in una prima bozza stampata dal compositore, il quale avrebbe altrimenti ricomposto la pagina e stampato una seconda bozza. Ciascun addetto non riusciva a comporre più di una pagina al giorno.
Una delle opere più importanti stampate nel xv secolo fu la Bibbia di Gutenberg, detta anche “Bibbia di 42 linee”. Pubblicata tra il 1455 e il 1456 è storicamente considerata la prima opera completa realizzata con la stampa a caratteri mobili. Ecco alcune delle sue caratteristiche:
– fu stampata in caratteri gotici in due colonne di 42 righe ciascuna;
– era costituita da 641 carte;
– era divisa in due, tre o quattro volumi secondo delle richieste dell’epoca.

La stampa a caratteri mobili rivoluzionò anche la società europea occidentale. L’abbattimento dei costi di inizializzazione di ciascun processo di stampa e lo sviluppo delle prime forme di economie di scala determinarono l’abbassamento del costo dei libri, che non rappresentavano più un bene di lusso. Furono realizzate le prime stampe in volgare, che sostituì progressivamente il latino, provocando la nascita delle lingue e delle identità nazionali.
Nel xviii secolo nacquero i giornali periodici, che si diffusero particolarmente grazie alle classi sociali emergenti. La stampa divenne strumento di battaglie politiche e culturali, veicolando nuove idee, teorie scientifiche e religiose, che formarono l’opinione pubblica, dotata di spirito critico.

Tra la fine del xv e l’inizio del xvi secolo Aldo Manuzio, tipografo veneziano, si rese autore di alcune innovazioni nel campo della stampa tipografica: anzitutto ideò il carattere corsivo (o aldino, o italico); poi, pubblicò opere religiose in libri di piccolo formato: il “formato ottavo”, termine che indica il numero di fogli equivalenti derivanti dalle piegature successive di un singolo foglio.
Secondo il numero di pieghe si otteneva un formato diverso, con diverso ingombro. La nomenclatura è ben definita:

Formato Pieghe h (cm)
In plano 0 55-65
In folio 1 30-40
In quarto 2 28-33
In ottavo 4 15-20
In sedicesimo 8 10-15

Nel 1798 il tedesco Aloys Senefelder elabora un nuovo procedimento di stampa, detta litografica. Essa prevede l’utilizzo di una pietra che, levigata e disegnata con una matita grassa, trattiene l’inchiostro sulle sole parti grasse, dalle quali questo si deposita poi su un foglio di carta grazie alla pressione di un torchio. Dall’evoluzione di questa tecnica nascono, nel 1840, le macchine “pianocilindriche”, in cui la pietra è sostituita da una matrice di zinco (litografia offset).
Le innovazioni di maggior rilievo furono la macchina da stampa a vapore, le macchine di produzione di rulli continui di carta e la linotype, il primo dispositivo tipografico meccanico. Questo sistema, ideato da Ottmar Mergenthaler nel 1881, rivoluzionò le tecniche di stampa perché dotato di caratteri mobili, che scendono da un magazzino di alimentazione una volta digitate da tastiera le lettere ad essi corrispondenti. La matrice si componeva così in modo automatico; i caratteri erano poi fusi insieme per garantire la stabilità delle posizioni reciproche, mentre dopo la stampa erano recuperati e riavviati a popolare il serbatoio a monte della macchina.

03 – età dei metalli

Alle età della pietra seguono quelle dei metalli: il calcolitico (l’epoca nella quale si utilizza perlopiù il rame), l’età del bronzo (che, secondo le regioni, ebbe inizio tra il 1.700 e il 1.000 a.C., e terminò tra l’800 e il 500 a.C.), e l’età del ferro (grosso modo tra il 1.000 e il 500 a.C.). La variabilità delle date è ovvia, e dipende dall’adozione dei nuovi paradigmi da parte delle diverse popolazioni.

A fianco delle tecnologie metallurgiche, però, è la tecnica della scrittura a segnare il passaggio all’epoca storica: la possibilità di fissare su supporti stabili i numeri, le idee, i pensieri, permette all’uomo, anche senza volerlo, di raccontarsi. L’idea di tempi storici passa proprio per questa condizione.
I primi esempi di scrittura sono ancora una volta diversamente distribuiti: i più antichi reperti mesopotamici risalgono attorno al 3.200 a.C., quelli sumeri al 3.400, quelli della valle dell’Indo al 3.500; e oggi pare possibile definire come “scrittura” le iscrizioni su tavolette di terracotta rinvenute in Romania, nella valle del Danubio, datate con tutta probabilità sino al 5.400 a.C. Sulla valenza di questi reperti la comunità degli storici non ha però una visione univoca.

L’uomo aggiunge altri complementi materiali alla propria vita quotidiana: la terracotta è un materiale che gli permetterà, tra l’altro, la cottura degli alimenti; con i sistemi per la realizzazione dei tessuti, poi, come il filatoio e il telaio, sostituirà le pelli degli animali, sino a prima l’unico modo che aveva per coprirsi.
Il telaio passerà da essere una semplice cornice utile per distendere e rendere lavorabile il tessuto alla struttura che fondamentalmente è ancora oggi, con l’uso dei licci e della bocca d’ordito.
Altra tecnologia complementare all’agricoltura è quella legata alla gestione delle acque: dalla Mesopotamia e dalle altre zone dove la prima richiedeva una costante irrigazione si diffusero tecniche per la conduzione e il trasporto di una risorsa finita come quella idrica. Tra il 5.000 e il 3.000 a.C. norie e altri sistemi di sollevamento, ma anche canali e serbatoi, sono perfezionati, e permettono lo stoccaggio e lo spostamento dell’acqua.

L’agricoltura si diffuse particolarmente nelle aree a clima mediterraneo, caratterizzate da alternanza di estati calde, inverni freddi e stagioni intermedie umide. La vita dell’uomo fu pesantemente segnata dalle stagioni, con distinzione tra quelle nelle quali era necessario il suo lavoro e quelle nelle quali, di conseguenza, poté dedicarsi ad altre attività. Nascono le occupazioni artigianali, alle quali l’uomo si applicherà in modo continuativo quando disporrà di un sufficiente surplus alimentare.
Come si diceva, in corrispondenza del passaggio tra preistoria e storia si situa l’inizio delle lavorazioni dei metalli. Il primo metallo a essere utilizzato proficuamente fu il rame, e al momento attuale, salvo altri possibili ritrovamenti le cui datazioni ancora non sono unanimemente accettate, il primo reperto in rame noto è l’ascia di Ötzi, la mummia ritrovata sul ghiacciaio del Similaun (tra Italia e Austria) nel 1991, e risalente al 3.330 a.C. circa.
La scelta ricadde sul rame a partire dalla lavorazione del rame nativo, non così frequente in natura, ma utile per far prendere confidenza all’uomo a questo metallo, con il quale si fabbricavano utensili per battitura; poi, fu prodotto per mezzo di forni che raggiungevano temperature attorno ai 700° C. La produzione aumentò notevolmente quando ci si approssimò ai 1.000° C.
In maniera quasi casuale, poi, l’uomo comprese che “impurità” incluse nella fusione potevano essere alle volte dannose, come nel caso del piombo (che rende il prodotto della fusione troppo malleabile), e altre molto utili, come per lo stagno (che dava un risultato robusto e malleabile).
Il ferro, con il suo alto punto di fusione (1439° C) fu utilizzato per ultimo, anche se prima il “metallo celeste”, ossia il ferro nativo derivante dai meteoriti, era a disposizione e fu utilizzato da millenni.