cacciatori di taglie conformate, ovvero curriculì curriculà – 3

Mai visto prima con la cravatta
Philippe Starck ha avuto il suo reality show (abbreviato in “reality” in italiano; la cosa mi ha sempre fatto un po’ sorridere): si tratta di “Design for life”, sparato nell’etere da BBC2 e in Italia da Rai 5, con il sottotitolo “sognando Philippe Starck” che fa tanto anni ’80. Non è il caso qui di commentare il programma, ch soffre di tempi morti non eliminabili nemmeno dal più ardito dei montaggi, alternati a momenti più vivaci principalemente dovuti alla verve del designer parigino.
Ha qualche utilità per il discorso che voglio portare avanti, piuttosto, citare a braccio una considerazione dell’autore del più citato esempio di cattivo risultato di design, nella fattispecie lo spremiagrumi Alessi, che pur avvalendosi dell’effetto Coandă non riesce a evitare che i grumi e soprattutto i semi delle arance cadano nel bicchiere che contiene la spremuta.
Di fronte a idee progettuali abbastanza sciatte portategli dai concorrenti del reality show, quasi tentato dal rispedirli tutti a casa, in una delle prime puntate Starck evidenzia l’errore di fondo compiuto dagli aspiranti designer: lavorare quasi in gruppo anziché da soli. Pur ammettendo la necessità di un confronto lavorativo, Starck perora la causa del lavorare da soli, che secondo lui è il modo per avere idee e concentrarsi realmente sui progetti.
Il cortocircuito è stato brevissimo: qualche mese fa, avendo dovuto aggiornare il mio curriculum per la partecipazione a un seminario, dovendo scrivere nel campo “Capacità e competenze relazionali” (mi spiegherà un giorno qualcuno che cosa sia una “competenza relazionale”), ho ritenuto opportuno segnalare che “ottengo i migliori risultati analizzando i problemi e ipotizzando soluzioni in autonomia”. Bravo. Grazie.
Ma il cerchio si è definitivamente chiuso quando ho trovato la madre di tutti i curriculum vitae (è vero, è di un trentenne italiano; se mai leggesse queste righe, non me ne voglia, non sarà l’unico, ne sono certo):
I performed different and intense consulting experiences, in national and international contexts, which make me develop passion and professionally spendable skills in automotive sector. I’m able to achieve and manage my Clients, to plan and manage activities, to define solutions with poor data, to coordinate and to motivate my team, to analyze and summarize data, to perform training sessions in classrooms and on field, to design training courses, and choose the most appropriate resources for project activities. I normally work in contexts that require highest flexibility and fast problem solving skills use, in order to reach company goals.
I strongly believe in the concept that efficiency and success of an organization are determined by resources working inside it.
Piccolo rilievo ortografico, anzitutto: le uniche maiuscole del passo sono quelle del pronome personale “I” e l’iniziale di “client”. In altre parole, la santificazione dell’Io e della Committenza. Il resto del mondo non esiste, o, come diceva Guzzanti, questa non è la sede. Manco la “company” si merita la maiuscola.
A questo punto mi salta in mente un’altra perla di Starck (non credo che lo citerò mai più in vita mia, se ne bei finché può), che nello show elimina dal novero dei pretendenti un giovane designer perché troppo prono a seguire le indicazioni del maestro su come svolgere il compito assegnato, anziché considerarle come un semplice spunto da elaborare creativamente. Forse questa scelta vale più nel campo del design o in generale in quelli dove l’iniziativa personale, quella cosa che si chiama “proattività” (la tratto sempre con le virgolette, non so perché) e la fantasia hanno un peso preponderante. Quest’ultima, si badi, non intesa come il libero fluire del pensiero staccato dalle vicende terrene, ma l’originale interpretazione o reinterpretazione di canoni, nozioni, concetti, strutture, relazioni, abbinamenti, scelte predecenti, insomma, quelle cose lì.
Lo “Yes man” ha un sensore audio che lo attiva
Oggigiorno, chi vuole una persona che “trovi soluzioni in presenza di dati scarsi” (se non in ambito statistico e in presenza di prove distruttive)? Il nodo di Gordio, oggi, è la facile disponibilità di moli quasi ingestibili di informazioni, e la spada di Alessandro potrebbero essere proprio la fantasia, la capacità di intravedere dei fil rouge, la scommessa su di un elemento nuovo. Niente di tutto ciò appare in quelle righe. Se chi assume vuole mantenere la propria posizione privilegiata senza rischio, assumendo degli “yes men”, qui ce n’è uno; diversamente, il “successo di un’organizzazione” sarà dato da altre “risorse che lavorano al suo interno”.

L’effetto Coanda

Tutti almeno una volta hanno verificato che, mettendo un dito sotto il rubinetto aperto, il flusso dell’acqua tende a seguire il contorno della superficie del dito, piegandosi in maniera quasi inattesa.
Ciò è dovuto all’attrito tra l’acqua e la pelle, per cui si ha un rallentamento delle molecole di fluido a contatto; tuttavia, per via della coesione tra le molecole d’acqua più esterne e quelle rallentate, si ha una deviazione di tutto il flusso, che rimane aderente alla superficie solida.
Henri Coandă (1886-1972), pioniere dell’aeronautica rumeno, fu il primo a realizzare un aeroplano funzionante con propulsione a reazione. Nel 1910 sperimentò suo malgrado l’effetto che da lui avrebbe preso il nome: le fiamme uscite dal propulsore avvolsero la fusoliera del velivolo, proprio a causa dell’attrito e conseguente deviazione del flusso dei gas di scarico con la superficie. perse il controllo del mezzo, che andò distrutto, lasciando però illeso lo scienziato rumeno.
Risale al 1939 il prototipo della Vought Aircraft Company, che realizzò un velivolo la cui forma è quella “classica” dei dischi volanti, dal nome forse non eccelso di “Flying Flapjack”. Il mezzo si librava in qualche modo nell’aria, soprattutto grazie alla sua forma. Molti avvistamenti nel corso di tutto il secondo conflitto mondiale di oggetti non identificati possono essere legati alle missioni di questi strani velivoli. Tra gli ultimi avvistamenti registrati vi è quello di Kenneth Arnold, di Boise, Ohio, che nel 1947 denunciò l’avvistamento di un “disco volante” dal proprio velivolo da turismo. Pochi mesi dopo la Marina Militare americana dichiarò la sperimentazione con il Vought V-173 (questo il nome dell’aereo) conclusa.
Nel 1990 il Pentagono sperimentò un oggetto che già dal nome si manifestava oscuro: l’MSSMP (Multipurpose Security and Surveillance Mission Platform) fu progettato come mezzo di supporto tattico multiuso. Le finalità previste per il suo utilizzo spaziavano dal controllo degli incendi boschivi al supporto alle forze di soccorso in aree colpite ad esempio da catastrofi naturali, costituendo ponti radio; le applicazioni più strategiche comprendevano molte operazioni di ricognizione.
Oggi l’oggetto del desiderio del Pentagono va sotto il nome di “GFS Projects” (“Geoff’s Flying Saucer”), e sta per il progetto di un velivolo in grado di sollevarsi dal suolo, librarsi in aria, muoversi a zig-zag e atterrare dolcemente.

Il tutto per mezzo di un ventilatore, che soffia aria all’interno del velivolo verso l’alto; l’aria discende poi internamente lungo la superficie curva grazie proprio all’effetto Coandă, dando così portanza al mezzo, e sollevandolo.