11 – dalla città turrita alla città bastionata

Con l’avvento delle armi da fuoco, il profilo delle mura di cinta delle fortificazioni e del territorio circostante cambiò radicalmente: nacque il fronte bastionato, progettato e costruito a seguito di precisi studi geometrici, in relazione alle traiettorie dei proiettili.
L’altezza delle mura pertanto diventò inversamente proporzionale alla loro sicurezza: mura alte erano sinonimo di facile bersaglio per i cannoni, anche poco precisi e grossolani, dell’epoca. Esse diventarono più basse e robuste, sviluppandosi in piano e non in altezza, allo scopo di presentare un profilo nullo per le armi da fuoco dei nemici.
La fortezza del xvi secolo si presentava quindi più ribassata di quella medievale, e con angoli tra le mura adiacenti tali da far rimbalzare dalle superfici delle torri angolari i proiettili sparati. Essa era edificata con la tipica “forma a stella”: a seguito di studi geometrici, si era infatti notato che le vecchie torri circolari soffrivano della presenza di un angolo cieco, ovvero di una zona non visibile e non esposta al fuoco difensivo delle torri laterali. La base circolare delle torri (come in quelle della fortezza di Forlì, 1464) quindi evolve sempre più verso una forma triangolare (come nella fortezza di Barletta, 1537), o meglio “a picca”, dove i lati dei triangoli risultavano coincidenti con la traiettoria dell’artiglieria posta sulle due torri laterali, intersecandosi con il vertice del triangolo, ed eliminando così gli angoli ciechi.
Lo sviluppo di una fortificazione che risultasse efficiente non solo nel piano, ma anche in presenza di dislivelli altimetrici fu un problema risolto dalle tecniche di geometria proiettiva, facendo variare l’angolo di incidenza tra le torri proporzionalmente al dislivello del terreno.
Tra gli ingegneri militari più importanti del tempo ricordiamo Sébastien le Prestre Vauban (1633-1707), che nell’ultimo terzo del xvii secolo e il primo decennio del xviii lavorò alle fortificazioni di oltre 200 città, progettando l’edificazione di una quarantina di fortezze e porti militari, per lo più in Francia, ma con una eco che lo rese famoso in tutta l’Europa.
Parallelamente all’evoluzione del fronte bastionato, crebbero e si evolsero anche le tecniche d’assedio secondo criteri scientifici: gli “assedi scientifici” furono infatti teorizzati e poi efficacemente sperimentati più volte.
Si tratta di applicazioni matematizzate delle migliori strategie di assedio e di attacco alle fortificazioni: tra le principali, il metodo delle parallele (teorizzato da Vauban) prevedeva l’avanzamento delle linee attaccanti per trincee parallele a quelle delle mura.

In presenza di strutture di difesa come i forti bastionati di Vauban, l’attacco diretto diventava molto difficile. Spesso l’assedio risultava vincente non già militarmente, ma per l’impossibilità da parte degli assediati di sostentarsi, per la mancanza di approvvigionamenti.
Altra possibilità era il passaggio per linee sotterranee: si scavavano trincee radiali, avanzando sottoterra alla profondità di anche 6 metri, che si avvicinavano alla città sotto assedio: una volta raggiunta una distanza ottimale, il nemico avrebbe piazzato dell’esplosivo sotto le mura di cinta. Ci si difendeva di conseguenza, costruendo una galleria alla profondità più probabile alla quale avrebbe potuto incrociare quella nemica. La galleria aveva forma circolare, ciò che tra l’altro, le consentiva di sopportare bene un’interruzione, trattandosi di una rete ad anello; infine, le gallerie radiali di servizio venivano costruite al di sopra della rete circolare (sempre sottoterra), per meglio difendersi dalle esplosioni, con una pendenza negativa rispetto al forte.
Con il potenziamento delle artiglierie fu necessario estendere la linea di difesa delle città oltre il raggio consueto: le mura difensive si allontanavano sempre di più, e venivano costruite numerose fortezze oltre le mura di confine (come visibile nella Parigi attorno alla metà del xix secolo: essa era circondata da una serie di fortezze che controllavano la campagna intorno alla città).
Anche questa strategia si rivelò insufficiente quando la gittata delle artiglierie cominciò a superare le decine di chilometri, così come anche il bastione si rivelò presto oramai inutile e superato, quasi anacronistico, di fronte ai progressi del tempo: perfezionamento delle armi da fuoco e degli esplosivi chimici, definizione sempre migliore della forma ogivale dei proiettili che ne ottimizzava l’uso, sviluppo ed evoluzione delle tecniche metallurgiche di fusione, ovvero qualità sempre più alta delle artiglierie. Il bastione diventò inutile.
Durante la Prima guerra mondiale si ebbe un ritorno del valore deterrente dell’arma da fuoco: Parisgeschütz (ossia “Cannone di Parigi”, o ancora “Cannone Kaiser Guglielmo”) fu il nome dato dall’esercito tedesco al più grande pezzo d’artiglieria usato durante la Prima guerra mondiale; tuttavia, per via della piccola carica esplosiva, i colpi di questo cannone non procuravano grandi danni ed oltretutto la canna doveva essere sostituita spesso, mentre la precisione del tiro era così scarsa che i bersagli avevano le dimensioni di una città.
L’obiettivo dei tedeschi era però disporre di un’arma psicologica per intaccare il morale dei parigini, dal momento che un’arma così potente e al tempo stesso così imprevedibile avrebbe avuto solo l’effetto di generare “terrore” tra la popolazione civile e non.
Il simbolo contemporaneo della fine dell’era del fronte bastionato è la Linea Maginot, edificata nel 1928 dai francesi: essa si rifaceva al paradigma bellico della Grande Guerra, il conflitto di trincea per antonomasia, risultando assolutamente fuori luogo nel corso della Seconda guerra mondiale, che si rivelerà poi una guerra di movimento. Fu installata negli stessi luoghi che videro la guerra di trincea durante il primo conflitto mondiale, ed essa infatti non si rese mai effettivamente utile, dal momento che i tedeschi la aggirarono.

11 – Fuoco!

Le armi da fuoco costituiscono un’innovazione tecnologica rivoluzionaria, per il peso avuto su tutto il sistema economico e produttivo alle loro spalle: l’invenzione e la successiva produzione della polvere da sparo, l’evoluzione delle tecniche di fusione metallurgiche a supporto di una sempre migliore qualità, sicurezza ed efficienza dei prodotti, la standardizzazione della produzione: più in generale, è lecito quindi parlare delle armi da fuoco come di una innovazione sistemica.
La tecnologia delle armi da fuoco ha origine in Cina, dove prima che altrove (la tecnologia cinese, sino alla comparsa della “scienza elettrica” ha in numerosissime occasioni preceduto quella occidentale) si svilupparono le conoscenze necessarie alla produzione della polvere nera, menzionata in un testo del 1044.
Solo verso l’inizio del xiv secolo, all’epoca di Dante, passando per il mondo arabo, la polvere da sparo arrivò in Europa. La sua disponibilità permise lo sviluppo della tecnologia delle armi da fuoco. Nello stadio iniziale del loro sviluppo queste avevano effetti più deterrenti che pratici: spesso si rivelavano pericolose per gli stessi loro utilizzatori e potevano addirittura risultare fatali. Un esempio è dato dal “mostro di Urban”: un fonditore di campane ungherese, Urban, dopo essersi offerto all’impero bizantino, si schierò con gli Ottomani, per i quali lavorò durante l’assedio di Costantinopoli del 1453. Proprio in quell’occasione morì per l’esplosione di una delle sue creazioni, ed è ricordato per l’enorme bombarda detta “mostro di Urban” : lunga 8 metri, pesante 48 tonnellate, i suoi proiettili di granito avevano una circonferenza di 3 metri e un peso di mezza tonnellata. Per trasportarla erano necessarie 50 paia di buoi; una volta posizionata non veniva più mossa per molto tempo, e aveva una cadenza di fuoco molto bassa, non superiore ai 5-8 colpi al giorno.
Oltre alla poca efficacia distruttiva, i pezzi d’artiglieria cinquecenteschi potevano essere pericolosi per i propri stessi utilizzatori, per via dell’alto rischio di esplosione. La tecnica metallurgica, pur migliorata, non garantiva fusioni sempre perfette, specie per i pezzi di grandi dimensioni. Una cricca, un difetto, un’inclusione di elementi che indebolivano la struttura, potevano risultare nella deflagrazione del cannone. Gli “scoppiettari”, addetti all’accensione dello stoppino dei cannoni, erano tenuti alla confessione prima delle battaglie, ed era fatta loro assoluta proibizione di formulare giuramenti.
Essendo l’arma da fuoco un oggetto al limite delle capacità e delle conoscenze tecnico-scientifiche del tempo, la sua produzione si rivestiva quindi di un carattere quasi esoterico: oltre che riccamente adornata e decorata, essa veniva anche benedetta e le era conferito un nome, al fine di ingraziarsi la divinità.
Le pratiche scaramantiche dei produttori e degli utilizzatori dei cannoni ricordano, per molti aspetti, quelle operate dal pontifex maximus romano, ossia la figura politica che si occupava della gestione amministrativa delle opere civili nell’antica Roma.
Il pontifex, infatti, godeva non solo un potere di ordine amministrativo-gestionale, ma si occupava anche del corollario di pratiche religiose che seguivano la costruzione di ponti e grandi infrastrutture in generale: scongiuri, sacrifici e altri gesti apotropaici e divinatori per cercare una sicurezza mistica che la scienza e la tecnologia del tempo non potevano assicurare completamente.
Questa tendenza dell’uomo ad affidarsi a entità superiori, nel momento in cui non riesce più a spiegarsi fenomeni naturali grazie unicamente alle conoscenze scientifiche e tecniche, non è caratteristica della sola età classica e del Medioevo, ma si protrae più in generale in tutta la storia della tecnologia fino ai giorni nostri: basti pensare alla rottura della bottiglia di champagne nel battesimo delle navi, erede e sostituta della polena dei velieri, o al nose painting, le decorazioni degli aerei da guerra che dalla Seconda guerra mondiale sino ai giorni nostri rendono unici i singoli velivoli.