10 – la stampa a caratteri mobili

Convenzionalmente si può datare la nascita della stampa tipografica di Gutenberg intorno al 1450. Il valore aggiunto di tale procedimento è rappresentato dall’utilizzo di superfici di stampa costituite da carta resistente a considerevoli pressioni e dal metodo di impressione dell’inchiostro. I caratteri erano allineati in riga in modo da formare una pagina e, una volta cosparsi di inchiostro, venivano pressati su un foglio di carta o di pergamena.
Il successo del sistema fu decretato dall’enorme aumento della produttività che derivò dal suo impiego. Parallelamente diminuivano il lavoro svolto e il tempo impiegato nella esecuzione delle singole stampe, oltre che il capitale investito. I caratteri erano realizzati in una lega di piombo e stagno, sufficientemente resistente alla compressione e con basso punto di fusione. Ciò consentiva una più semplice sostituzione delle matrici, rifuse nella stessa stamperia. L’inchiostro originariamente adoperato era una soluzione acquosa di gomma (che fungeva da agente addensante) avente come pigmento il nerofumo (banalmente, fuliggine) o una sospensione di gallato ferrico. Solo successivamente fu introdotto l’uso di un inchiostro a base di olio di lino (lo stesso usato in pittura nelle colorazioni), di cui non si conosce l’inventore, sia pure alcuni ritengono sia stato Gutenberg. Tale tipo di inchiostro permise l’adozione del torchio tipografico, derivato dalle presse a vite usate per la produzione del vino, che permetteva l’uniforme distribuzione dell’inchiostro sulla carta.
Il numero di copie di un singolo foglio realizzabili da una coppia di stampatori si attestava intorno alle 200 unità giornaliere e, raggiunta la tiratura pianificata, era necessario riordinare i caratteri secondo l’ordine che essi assumevano nella pagina successiva da stampare. Tale operazione era molto complessa considerando che una singola pagina della Bibbia di Gutenberg contiene circa 2750 lettere. Anche la fusione dei caratteri, richiedeva notevole impiego di manodopera: ciascun carattere a forma di prisma quadrangolare (alto circa 2,5 cm), necessitava di finiture manuali per essere conforme agli standard. Durante la stampa erano necessari complessivamente 20000 caratteri, ma una coppia di operai era in grado di realizzarne solo 25 all’ora.
La composizione dei caratteri di una singola pagina richiedeva molto tempo: l’addetto doveva prenderli da una serie di cassettini e ordinarli in un vassoio di legno utilizzando delle pinze metalliche, onde evitare che il sudore delle dita, permanendo sul carattere, potesse acidificare la soluzione dell’inchiostro. Terminata questa fase, vi era un correttore di bozze o “lettore”, solitamente un dotto, che controllava l’assenza di errori in una prima bozza stampata dal compositore, il quale avrebbe altrimenti ricomposto la pagina e stampato una seconda bozza. Ciascun addetto non riusciva a comporre più di una pagina al giorno.
Una delle opere più importanti stampate nel xv secolo fu la Bibbia di Gutenberg, detta anche “Bibbia di 42 linee”. Pubblicata tra il 1455 e il 1456 è storicamente considerata la prima opera completa realizzata con la stampa a caratteri mobili. Ecco alcune delle sue caratteristiche:
– fu stampata in caratteri gotici in due colonne di 42 righe ciascuna;
– era costituita da 641 carte;
– era divisa in due, tre o quattro volumi secondo delle richieste dell’epoca.

La stampa a caratteri mobili rivoluzionò anche la società europea occidentale. L’abbattimento dei costi di inizializzazione di ciascun processo di stampa e lo sviluppo delle prime forme di economie di scala determinarono l’abbassamento del costo dei libri, che non rappresentavano più un bene di lusso. Furono realizzate le prime stampe in volgare, che sostituì progressivamente il latino, provocando la nascita delle lingue e delle identità nazionali.
Nel xviii secolo nacquero i giornali periodici, che si diffusero particolarmente grazie alle classi sociali emergenti. La stampa divenne strumento di battaglie politiche e culturali, veicolando nuove idee, teorie scientifiche e religiose, che formarono l’opinione pubblica, dotata di spirito critico.

Tra la fine del xv e l’inizio del xvi secolo Aldo Manuzio, tipografo veneziano, si rese autore di alcune innovazioni nel campo della stampa tipografica: anzitutto ideò il carattere corsivo (o aldino, o italico); poi, pubblicò opere religiose in libri di piccolo formato: il “formato ottavo”, termine che indica il numero di fogli equivalenti derivanti dalle piegature successive di un singolo foglio.
Secondo il numero di pieghe si otteneva un formato diverso, con diverso ingombro. La nomenclatura è ben definita:

Formato Pieghe h (cm)
In plano 0 55-65
In folio 1 30-40
In quarto 2 28-33
In ottavo 4 15-20
In sedicesimo 8 10-15

Nel 1798 il tedesco Aloys Senefelder elabora un nuovo procedimento di stampa, detta litografica. Essa prevede l’utilizzo di una pietra che, levigata e disegnata con una matita grassa, trattiene l’inchiostro sulle sole parti grasse, dalle quali questo si deposita poi su un foglio di carta grazie alla pressione di un torchio. Dall’evoluzione di questa tecnica nascono, nel 1840, le macchine “pianocilindriche”, in cui la pietra è sostituita da una matrice di zinco (litografia offset).
Le innovazioni di maggior rilievo furono la macchina da stampa a vapore, le macchine di produzione di rulli continui di carta e la linotype, il primo dispositivo tipografico meccanico. Questo sistema, ideato da Ottmar Mergenthaler nel 1881, rivoluzionò le tecniche di stampa perché dotato di caratteri mobili, che scendono da un magazzino di alimentazione una volta digitate da tastiera le lettere ad essi corrispondenti. La matrice si componeva così in modo automatico; i caratteri erano poi fusi insieme per garantire la stabilità delle posizioni reciproche, mentre dopo la stampa erano recuperati e riavviati a popolare il serbatoio a monte della macchina.

10 – carta bianca, vetriolo e melanconia

Tra il xii e il xiii secolo si intensificò notevolmente l’opera dei copisti e degli amanuensi, in contemporanea con la nascita dei primi distretti di lavorazione della carta, che utilizzavano tecniche di produzione importate dall’Islam. Il nuovo supporto di scrittura ebbe sin da subito grande sviluppo, visti gli alti costi della pergamena (la realizzazione di un volume in-folio di 200 pagine richiedeva le pelli di 25 pecore).
La commessa, specie da parte di privati, di un crescente numero di manoscritti implicava la necessità di ripartire il lavoro tra più figure professionali: il bibliotecario, che conduceva la trascrizione dei testi; lo scriptor, deputato alla scrittura e il corrector alla correzione.
Il valore di un libro era particolarmente legato alle miniature (dal latino minium, il colore usato per riquadrare le pagine e per scrivere i titoli e le lettere iniziali dei manoscritti), illustrazioni che impreziosivano notevolmente i codici e richiesero la nascita del ruolo del miniator.

La realizzazione di opere a tiratura sempre più elevata determinò lo sviluppo di varie tecniche di stampa, tra le quali:
– la stampa a intaglio o incisione;
– la stampa a rilievo o topografica;
– la stampa litografica (in epoca più tarda rispetto alle prime due).
Il metodo più diffuso era la xilografia, l’intaglio su legno di figure e caratteri in rilievo. Gli esperti di tale tecnica si servivano di un sottile scalpello con una punta in acciaio (bulino) per incavare le parti bianche rispettando quelle disegnate, in modo che queste ultime definissero in rilievo la figura da ottenere.
In concomitanza con la stampa a caratteri mobili, la xilografia (di origine cinese, viii secolo) ebbe particolare diffusione in Europa dal xiv secolo fino a quando il metallo non sostituì il legno nelle sue principali applicazioni (xvi secolo). Tuttavia aree come quella francese, in cui l’abbondanza di legni duri come il bosso consentiva tirature molto elevate, videro scomparire tale tecnica solo nel xix secolo.
Agli inizi del xvi secolo Albrecht Dürer (secondo altri Tommaso Finiguerra, orefice fiorentino) introdusse un nuovo tipo di incisione su rame, zinco o acciaio: l’acquaforte (dal termine latino per l’acido nitrico). La tecnica consiste nel ricoprire una lamina metallica con uno strato di speciale vernice resinosa, su cui, con una punta di acciaio, si incide il disegno.
Immersa la lamina in acquaforte, una miscela di forti agenti ossidanti, quali l’acido nitrico, quello solforico (detto altresì vetriolo) e quello cloridrico (detto anche muriatico), si ricava una matrice che, inchiostrata e compressa con un torchio, trasferisce alla carta l’inchiostro trattenuto nei solchi realizzati. Le diverse gradazioni cromatiche sono ottenute per “copertura”, per “rimozione” o variando i tempi di esposizione della lamina all’azione ossidante della miscela.
Uno degli esempi più celebri di acquaforte è Melanconia i, eseguita da Dürer nel 1514. Essa simboleggia la sfera intellettuale dominata dal pianeta Saturno, secondo la tradizione astrologica espressione del sentimento della melanconia, che associa al mondo razionale delle scienze quello immaginativo dell’arte.
Sul finire del Medioevo un ulteriore incremento delle stampe da eseguire (principalmente carte da gioco, icone religiose e certificati di indulgenza) rese inadeguate le tecniche fino a quel tempo utilizzate nell’editoria. La dispendiosa e poco produttiva manifattura di matrici in legno mutò nella produzione di tipi in metallo, più semplici da lavorare e più precisi nella stampa. Tale procedimento fu sicuramente utilizzato già a partire dal 1447 in una stamperia attiva a Magonza, e fu probabilmente l’esigenza di riparare le tavolette consunte con la sostituzione di una singola lettera (nella lavorazione lignea) a suggerire l’idea di scrivere un’intera parola con la stessa tecnica.