10 – “fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole”

L’invenzione della stampa a caratteri mobili è una delle tappe che segna il passaggio dal Medioevo all’epoca moderna.
I precedenti di tale tecnica nascono in Estremo Oriente, per poi diffondersi nel continente europeo. Tra i più significativi ritrovamenti vi sono il disco di Festo (Creta, 1700 a.C. circa), recante incisioni che sembrano realizzate con punzoni simili a quelli poi usati per la stampa a caratteri mobili, carte da gioco e amuleti religiosi. Tale manufatto, però, è episodico, e a esso non segue alcuna evoluzione.
Si deve arrivare in pieno Medioevo perché un occidentale (Marco Polo, nel 1298) incontri un esempio di oggetto stampato in serie: si tratta della cartamoneta, che l’esploratore veneziano incontra in Cina. La produzione delle banconote deve per definizione avere carattere di uniformità poiché il valore (solamente nominale e non materiale) dell’oggetto si ritrova nella sua rispondenza a un canone ben definito.
In precedenza, in epoca romana si erano diffuse le tavolette in cera (incise con uno stilo di legno, metallo o osso), utilizzabili più volte.
Altro supporto alla scrittura era basato sull’utilizzo del volumen, un rotolo costituito da papiri arrotolati, lungo fino a 12 metri. Il papiro fu poi gradualmente sostituito dalla pergamena (termine etimologicamente legato a Pergamo, in Asia Minore), ottenuta dalla lavorazione di pelli animali e tagliata in fogli di dimensioni standard. L’uso della pergamena consentì poi la realizzazione di fogli utilizzabili su entrambi i lati, a cui si deve la nascita del codex (iii secolo circa), formato da un insieme di quaterni, piccoli fascicoli di quattro fogli, cuciti tra loro e protetti da una copertina.
Tornando al medioevo, il xiv secolo vide la diffusione di tavolette lignee (quale quella di Digione del 1370) che, per la poca praticità e la costosa esecuzione, cedettero il posto alla diffusione della carta. In epoca medievale, la diffusione del codex portò alla nascita dell’editoria, che nelle sue prime forme si sviluppò nei conventi, nelle scuole ecclesiastiche e specialmente in quelle monastiche. In particolare, all’intensa attività filologica dei monaci di ordini come quello benedettino si deve il recupero della maggior parte delle opere della letteratura classica oggi pervenuteci.
Le opere più riprodotte erano quelle a carattere religioso, prime fra tutte la Bibbia. Poco diffuse, ma non meno importanti, anche le opere a carattere enciclopedico acquisirono un certo rilievo nella cultura del tempo. Pur essendo prive della sistematicità e del rigore scientifico moderni, esse passavano in rassegna i fenomeni naturali sino ad allora noti (storia naturale), spesso interpretati in modo più finalistico e religioso che deterministico.
Tra le opere più diffuse in epoca medievale spiccano alcune:
– la Grammatica latina di Donato (iv secolo);
– il De doctrina christiana di Sant’Agostino (iv-v secolo);
– le Institutiones di Cassiodoro (vi secolo, preparazione allo studio della Sacra Scrittura e delle arti liberali)
– il De consolatione philosophiae di Boezio (vi secolo, opera base della Patristica, carica di filosofia platonica);
– la monumentale Origines sive Etymologiae di Isidoro di Siviglia, vera e propria enciclopedia medievale (vii secolo);
– Opere scientifiche di Beda il Venerabile (viii secolo, in particolare un De rerum natura).
I temi affrontati in queste opere toccavano i punti essenziali del sistema conoscitivo medievale: il latino era indispensabile per approcciare i testi classici, i testi di critica filosofica davano gli strumenti per comparare (e adattare) l’insegnamento dei filosofi con quello dello delle sacre scritture, anch’essi analizzati dal sistema dei testi della patristica latina prima e della scolastica poi. Il novero dei testi fondamentali comprendeva infine le opere enciclopediche, che sistematizzavano la conoscenza del mondo reale in una gerarchia finalistica.