cacciatori di taglie conformate, ovvero curriculì curriculà – 2

Secondo Antefatto: si diceva, Power Point (o PowerPoint; nel dubbio, salvo che nei titoli, vi si farà riferimento come “PP”). Su un numero di “Wired”  (ovviamente quello americano) di una decina di anni fa apparve un articolo a firma di Edward R. Tufte, dal titolo sufficientemente chiaro: PowerPoint Is Evil. L’articolo riprende considerazioni che lo stesso Tufte svolse nel piccolo saggio The Cognitive Style of PowerPoint : Pitching Our Corrupts Within.
Perché Tufte, professore emerito di scienze politiche e statistica all’università di Yale, esperto di infografica, oltre che docente di design e scultore, se la prenderebbe tanto contro un placidone di programma quale PP?
Le ragioni sono molte.
PP, dice Tufte, impone il punto di vista dell’oratore, in modo quasi militaresco, e non è forse un caso che si chiamino bullets i simboli all’inizio di una riga di un elenco “puntato e numerato”. La presentazione è assertiva, e non dialettica. La verità in tasca contro l’apertura alla discussione. Ciò è condivisibile, ma facilita i giochi quando chi presenta è il consulente e chi ascolta è il cliente: meglio non creare dubbi; il dubbio è l’anticamera dell’ulteriore richiesta di informazioni. A meno che non si sia particolarmente capaci a sostenere critiche, sino al punto di vederle come un punto importante del processo. A quel punto si potrebbe pure optare per una visualizzazione alternativa, tra le molte proposte qui (vedi anche infra).
Ancora: secondo il professor Tufte, la gerarchizzazione dei contenuti in PP li incasella in schemi rigidi, che per definizione stentano a rappresentare in modo corretto la realtà. In una sua stupefacente analisi, Tufte arriva a sostenere – ma attenzione, la commissione della NASA che svolse un lavoro parallelo arrivò alle medesime conclusioni – che una delle principali cause del disastro dello Space Columbia del 2003 fu la più diffusa modalità di rappresentazione delle informazioni tecniche (con particolare riferimento ad alcuni problemi verificatisi in un lancio precedente, che furono la causa fisica ultima dell’incidente) adottata dai tecnici NASA: manco a dirlo, PP.
Ok, molto sta a come lo si usa (parliamo sempre di PP; verrebbe da chiamarlo Pierpaolo), ma anche nella più innocente delle presentazioni possiamo essere tentati di utilizzare uno dei golosi temi grafici che Pierpaolo (pardon, PP) propone: sono belli, colorati, con i titoli ben formattati che manco in un giorno riusciremmo a ottenere; soprattutto, però, golosità delle golosità, potremmo essere tentati di utilizzare uno dei modelli che Pierpaolo ci mette a disposizione, come “Rapporto stato progetto”. Inspirate bene, guardatevi attorno tronfi: siete a metà dell’opera.
“Rapporto stato progetto”, “rapporto stato progetto”, “rapporto stato progetto”, ripetete, amleticamente socchiudendo le dita, sentendo la consistenza di questo titolo che dal palato sale, grazie alle proprie virtù appositive, ai lobi della vostra virtù intellettiva: siete dei manager, cazzo.
Ci sono pure i titoli delle slide pronti: “Panoramica progetto” (per iniziare con il piede giusto), “stato corrente” (siamo assertivi), “problemi e soluzioni” (mica può filare tutto liscio), “sequenza temporale” (mirabilia! Con scelta possibile tra tra tipi diversi di rappresentazione), “guardare avanti” (e che, vi guardate indietro ormai? Li avete in pugno, quei bastardi), “Dipendenze e risorse” (ovvio, mica potete fare tutto voi, qualcuno dovrà pur combatterla questa sporca guerra! Ah!), “appendice” (come “appendice”? Già finito? Speravate in un finale migliore, ma tant’è).
A periodic Table of Visualization Methods
Poco importa che un paio d’anni fa si scopra che Pierpaolo (chiedo ancora venia: PP) abbia reso improduttiva un’intera classe di ufficiali americani, che passano più tempo a preparare slide che a dedicarsi alle loro occupazioni guerresche (ok, questo Pierpaolo potrebbe avere qualche risvolto positivo). Poco importa che di modi per esprimere su carta (fisica o informatica) le vostre idee ve ne siano tanti, al punto che qualcuno si è preso la briga di incasellarli in una tavola, che per inciso acquista in questo modo proprietà di meta-visualizzazione mica da ridere. Con queste presentazioni stile “Quattro salti in padella” avete la migliore simulazione di un filo logico. Quanto basta per convolgere il vostro uditorio per tre quarti d’ora, forse più se sono obbligati ad ascoltarvi. Vi vogliono professore? Sarete il loro Umberto Eco. Vi vogliono manager? Sarete il loro… perché non me ne viene in mente uno? Vi vogliono scienziato? Sarete la loro Rita Levi Montalcini. Vi vogliono designer? Sarete il loro Philippe Starck. Già, Philippe Starck.

orazioni, permutazioni e convinzioni – 3

(segue)

Si diceva del “CIA Fact Book for Countries”: la CIA è la ben nota Central Intelligence Agency, quella con sede a Langley, in Virginia, dove si allenava Clarice Starling (alias Jodie Foster) de Il silenzio degli innocenti; l’agenzia dove lavorano agenti speciali a cui quelli dell’FBI di Dragnet fanno un baffo.
Ora, scrivendo “CIA factbook for countries”, quando ancora manca l’ultima parola il motore di ricerca suggerisce “CIA factbook for kids”. Il link rimanda proprio alla “Kids’ page“, dove si spiegano le principali attività svolte dall’Agenzia; l’introduzione presente nella pagina è traducibile più o meno così:

Benvenuti. Siamo felici che voi siate qui per saperne di più sulla CIA. La CIA è un ente governativo indipendente degli Stati Uniti che fornisce intelligence sulla sicurezza nazionale alle più importanti cariche degli Stati Uniti in modo che possono prendere importanti e informate decisioni. Gli impiegati della CIA riuniscono intelligence (o informazioni) in vari sensi, non solo “spiando” come vedete nei film o alla TV (benché facciano anche quello, in qualche modo). Nelle seguenti pagine potete leggere di più a questo proposito, giocare ad alcuni giochi ed aiutarci a risolvere alcuni puzzle. In questa sezione, inoltre, vedrete alcune cose top-secret che non troverete altrove.

Ci si chiede come si possano spiegare ai bambini le attività che, parafrasando il titolo dell’ultimo libro di Umberto Eco, Costruire il nemico…, prevedono attività piuttosto controintuitive, soprattutto dal punto di vista dei bambini?
Si immagini per contro il sito ipotetico di “Gladio”, o quello della “P2”. Come avrebbero presentato ai bambini le proprie attività gli iscritti alla loggia? “Vogliamo la nascita di due partiti, l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l’altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale), il controllo dei media (quotidiani e la liberalizzazione delle emittenti televisive), la ripartizione di competenze fra le due Camere, con l’assegnazione della funzione politica alla Camera dei Deputati e quella economica al Senato della Repubblica, la riforma della magistratura con la divisione tra ruolo del P.M. e del magistrato, oltre all’assoggettamento del CSM al Parlamento, la riduzione del numero di parlamentari, l’abolizione delle Province e l’abolizione della validità legale dei titoli di studio. Il tutto per il vostro bene, bimbi. Ah, qui di seguito tanti bellissimi giochi: «Il piccolo iniziato», «Gioca con Gervasetto», «Spegni Internet anche tu e passa parola», e tanti altri…”

02 – uno, nessuno e centomila

(continua il post del 26/02/2010, h. 16.30)

La moltiplicazione delle nozioni a disposizione pone problemi sull’uso di Internet come mezzo conoscitivo: pur in presenza di raffinatissimi motori di ricerca, la sensazione dello storico può ancora essere quella descritta ormai una quindicina di anni fa da Umberto Eco, che si descriveva come overwhelmed, “travolto”, dall’immensa mole di rimandi che “la madre di tutte le liste”, ossia Internet, gli proponeva una volta inserito un innocuo “Jerusalem” come chiave nel motore di ricerca. L’attitudine critica rispetto al mezzo Internet deve essere ben presente in chi lo voglia utilizzare come fonte per le proprie ricerche; se si eccettuano le pubblicazioni di articoli cartacei, tutti gli altri materiali devono poter essere attentamente verificati, anche se appartengono (è il caso di Wikipedia) a una rete sociale (si passi la traduzione di “social network”) che per definizione provvede alla loro revisione critica spontanea.
Ciò poiché l’accesso alla pubblicazione sul mezzo Internet è di qualche ordine di grandezza più facile rispetto a quello sulla carta. Attivare un blog non costa molto, anche nulla per l’utilizzatore, mentre una pubblicazione cartacea ha costi di produzione ripetuti ogni volta. L’attenzione alla validità dei contenuti è fondamentale per la stessa sopravvivenza del mezzo (posso invece scrivere un sacco di fandonie su di un blog senza per questo vederne la chiusura per la non rispondenza dei suoi contenuti con la posizione dominante degli storici su di un certo argomento).

La storia come insieme di fatti e andamenti univocamente determinati non esiste; esiste una nozione (e un suo corrispondente operativo) di storia socialmente e contestualmente variabile, ma in ogni momento coerente con le scelte operate da una stretta cerchia di persone, costituita dai professionisti del campo, gli storici, per l’appunto.
Le interazioni, i rimandi incrociati, le citazioni costituiscono i mezzi attraverso i quali le teorie dei singoli storici sono incluse e fatte proprie dalla comunità; si crea una rete di rimandi, che dà forma a una massa critica di nozioni e interpretazioni, che ha come effetto secondario l’esclusione di una costellazione di studi e pubblicazioni non incorporati perché ritenuti a vario titolo spuri (come la caduta da cavallo di cui sopra).

A questo punto sorge un dubbio: se la storia che studiamo dipende dalle decisioni di pochi, ci possiamo fidare di come è stata “fatta”?

Lo storico inglese Edward H. Carr, è autore di un volumetto, Sei lezioni sulla storia (Torino : Einaudi, 1966), dove espone alcune idee in merito alle ragioni del fare storia e alle motivazioni ultime per le quali la si fa.
Carr ritiene che il lavoro dello storico non possa essere paragonato a quello di un avventore che scelga dei pesci ben ordinati su di un banco al mercato, ma piuttosto alla fatica di un pescatore che si trovi a cacciare le sue prede in un oceano sconfinato. Il punto di partenza è nuovamente quello di Borges: l’infinità del reale (ma se la si tratta come indefinitezza il presupposto non cambia di molto) deve essere commisurata a termini manipolabili per l’uomo.
Aggiunge pure che uno storico non potrebbe mai scrivere due libri uguali su di uno stesso argomento, sostenendo come una qualsiasi interpretazione, oltre che soggettiva, è pure contestuale, dipendendo, ad esempio, dalle ulteriori conoscenze acquisite dallo storico e dalle sue relazioni con la comunità scientifica.
La situazione sembra peggiorare; la storia pare essere sempre più un capriccio di pochi.
Tuttavia, aggiunge lo storico inglese, “Il processo di ricostruzione guida la scelta e l’interpretazione dei fatti e anzi trasforma questi ultimi in fatti storici: i fatti senza un’interpretazione sono simili a sacchi vuoti, afflosciati su se stessi poiché privi di contenuto”. In qualche modo dobbiamo cioè metterci nelle mani di qualcuno che scelga e interpreti, per quanto particolarmente e soggettivamente, un insieme finito di avvenimenti, poiché questo è l’unico modo per non lasciarci travolti (overwhelmed) dalla potenza del continuo del passato.
Nessuno si deve così spaventare se “Chiunque faccia professione di storico, sa, se si ferma un istante a riflettere sul senso del proprio lavoro, che lo storico è perpetuamente intento a adeguare i fatti all’interpretazione e l’interpretazione ai fatti. E’ impossibile assegnare un primato all’uno o all’altro momento”. La soggettività alla base del lavoro dello storico è presupposto immancabile per la sua comprensione dei fatti e delle situazioni; sarà la comunità degli storici a vagliare, smussare, validare e accettare o rifiutare tutte o parte delle teorie esposte. La storia, in ultima analisi, è fatta non da un uomo, ma dagli uomini. Imperfetta sì, ma quanto di meglio si possa avere in giro.
Così come il metodo scientifico oscilla costantemente tra il momento sperimentale e la sintesi dei dati in una teoria, così il metodo storico oscilla tra la selezione dei fatti e l’interpretazione di questi.

Carr prende poi le distanze dagli storici idealisti, come Collingwood, o von Ranke, al quale si deve l’affermazione secondo la quale la storia deve parlare “di ciò che è realmente accaduto”:
“Siamo ben lontani dall’Ottocento, allorché gli scienziati, o gli storici, si aspettavano di poter fissare un giorno, mediante l’accumulo di fatti debitamente saggiati, un insieme di cognizioni che avrebbe risolto una volta per tutte i problemi rimasti aperti. Oggi, tanto gli scienziati che gli storici nutrono la speranza, ben più modesta, di passare via via da un’ipotesi circoscritta a un’altra, isolando i fatti per mezzo delle interpretazioni, e saggiando le interpretazioni per mezzo dei fatti”.

Nel momento in cui il metodo storico sembra allontanarsi dalle pretese di precisione e verificabilità, si avvicina invece al metodo scientifico, per come definito da Karl Popper. Le “congetture e confutazioni” di popperiana memoria sono un traguardo più realistico, e operativamente sono molto più utili. Parafrasando la posizione dell’epistemologo austriaco, potrebbe essere utile pensare un racconto storico come un modo per stimolare ulteriormente la ricerca, aggiungere nuovi documenti, nuove fonti, e modificare il racconto iniziale, per farlo aderire maggiormente a quella che si ritene la Storia.

(continua)