13 – una città disegnata

Torino dalle origini fino al xvi secolo
Torino nacque come un accampamento militare nel 29 a.C., in un’area di precedente dominazione dei Taurini. Durante il periodo romano, Torino godeva dello status di Augusta, essendo piazzaforte di una certa importanza, collocata in una pianura strategica, dal punto di vista territoriale, per il passaggio alla Francia. Vauban stesso sostenne che Torino era la città con la posizione strategicamente migliore al mondo, e l’architettura della città di Torino è influenzata sopratutto dall’obiettivo militare perseguito dai Savoia.
La prima forma della città fu stato proprio il quadrato romano (l’attuale zona di Piazza Castello e i giardini reali), con un angolo “mancante” dovuto alla morfologia del territorio.
Questa area collinare è attraversata dal fiume; successivamente questo è il luogo dove si posizioneranno gli arsenali metallurgici e i mulini per poter sfruttare l’energia della caduta dell’acqua.
Si avevano quattro porte principali sui cardi del lato per accedere all’interno della città: Porta Principalis Sinistra (Porta Palatina), Porta Principalis Dextera, Porta Praetoria e Porta Decumana (la nomenclatura delle porte si basa sul presupposto che l’osservatore guardi verso est). Di queste quattro porte, la Porta Palatina è l’unica rimasta fino a oggi giorno alle ristrutturazioni della città. Lo schema quadrato sopravvivrà fino al Medioevo.
Tra Rinascimento e Medioevo furono introdotte alcune modificazioni: per prima si ebbe l’erezione di mura bastionate sullo schema della centuriazione romana; le mura erano utili per difendersi dalla diffusione di malattie infettive ed eventuali attacchi; rimanevano dei piccoli agglomeramenti al di fuori della città, abitazioni e soprattutto cascine, dove si producevano i prodotti di sussistenza per la città. In città, infatti, non vi erano più coltivazioni, ma attività commerciali e liberali, che come tali non avevano possibilità di esistere senza rifornimenti dall’esterno.

Tra xvi e xviii secolo
Dalla seconda metà del xvi secolo si ebbe una riprogettazione graduale della città secondo direttive ben definite. A titolo di esempio, un confronto con lo sviluppo della città di Roma evidenzia come quest’ultima, cresciuta nei secoli senza pianificazioni di ampio respiro, non presenti alcuna struttura reticolare, se non in piccole porzioni. Con un’espressione chiarificatrice, fu detto che “Roma esportò l’ordine che non fu in grado di mantenere internamente”.
Le ragioni sono da ricercare anzitutto nell’atmosfera politica dell’epoca. Con la formazione degli stati nazionali del xv e xvi secolo, con la crescita della potenza della Francia, e per effetto del nuovo assetto europeo derivante dal trattato di Cateau Cambresis (1559), la dinastia dei Savoia trasferì strategicamente la capitale del ducato da Chambery (attualmente proprio nella regione della Savoia, in Francia) a Torino. Inoltre, l’aumento rapido della popolazione imponeva la necessità di organizzare l’espansione della città.
Cinque anni più tardi fu edificata ex-novo la Cittadella: questa è la piazzaforte dove si aveva il fulcro della potenza di fuoco a protezione degli attacchi francesi da ovest. Allo stesso tempo si ebbe anche un irrobustimento delle mura che circondavano la città medievale. In questo periodo di crescita (alla fine del xvi secolo la città contava circa 20.000 abitanti), assurgono a figure di primo piano Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele i, per via della forte accelerazione che diedero alla politica sabauda, prendendo delle decisioni di grande impatto sul ruolo territoriale ed economico della città e del ducato.
Dopo l’edificazione della Cittadella (1564) ebbero luogo tre sviluppi principali attorno al quadrato romano:
1. contrada nuova a sud: aprì la direttrice che è l’attuale di via Roma e spostò la cinta muraria, che si attestò sulla “Porta Nuova”; spostò il baricentro della città, formando un nuovo asse nord-sud, a metà del quale si innesterà la piazza san Carlo; i lavori di questo ampliamento furono diretti dall’orvietese Ascanio Vittozzi, primo architetto della signoria sabauda, attivo a Torino sino al completamento dell’espansione, nel 1615;
2. la zona del Borgo Po (1673) a Est: si creò via Po come collegamento tra il Castello e il fiume. La via è sghemba rispetto alla griglia delle vie del quadrato romano, poiché è perpendicolare rispetto al corso del fiume; è quindi la via più breve ad esso, per permettere un deflusso più efficace e veloce degli scarichi, terminanti nel cosiddetto “borgo moschino”, corrispondente grosso modo all’attuale piazza Vittorio Veneto da un lato e alla zona della piazza della Gran Madre dall’altro;
3. inizio del xviii secolo: si edificarono i quartieri militari vicino alla Cittadella.
Per effetto di queste linee d’espansione la città assunse in definitiva una forma “a istrice”, una sorta di ameboide chiuso su se stesso e ben protetto dai terrapieni e dai bastioni.

11 – dalla città turrita alla città bastionata

Con l’avvento delle armi da fuoco, il profilo delle mura di cinta delle fortificazioni e del territorio circostante cambiò radicalmente: nacque il fronte bastionato, progettato e costruito a seguito di precisi studi geometrici, in relazione alle traiettorie dei proiettili.
L’altezza delle mura pertanto diventò inversamente proporzionale alla loro sicurezza: mura alte erano sinonimo di facile bersaglio per i cannoni, anche poco precisi e grossolani, dell’epoca. Esse diventarono più basse e robuste, sviluppandosi in piano e non in altezza, allo scopo di presentare un profilo nullo per le armi da fuoco dei nemici.
La fortezza del xvi secolo si presentava quindi più ribassata di quella medievale, e con angoli tra le mura adiacenti tali da far rimbalzare dalle superfici delle torri angolari i proiettili sparati. Essa era edificata con la tipica “forma a stella”: a seguito di studi geometrici, si era infatti notato che le vecchie torri circolari soffrivano della presenza di un angolo cieco, ovvero di una zona non visibile e non esposta al fuoco difensivo delle torri laterali. La base circolare delle torri (come in quelle della fortezza di Forlì, 1464) quindi evolve sempre più verso una forma triangolare (come nella fortezza di Barletta, 1537), o meglio “a picca”, dove i lati dei triangoli risultavano coincidenti con la traiettoria dell’artiglieria posta sulle due torri laterali, intersecandosi con il vertice del triangolo, ed eliminando così gli angoli ciechi.
Lo sviluppo di una fortificazione che risultasse efficiente non solo nel piano, ma anche in presenza di dislivelli altimetrici fu un problema risolto dalle tecniche di geometria proiettiva, facendo variare l’angolo di incidenza tra le torri proporzionalmente al dislivello del terreno.
Tra gli ingegneri militari più importanti del tempo ricordiamo Sébastien le Prestre Vauban (1633-1707), che nell’ultimo terzo del xvii secolo e il primo decennio del xviii lavorò alle fortificazioni di oltre 200 città, progettando l’edificazione di una quarantina di fortezze e porti militari, per lo più in Francia, ma con una eco che lo rese famoso in tutta l’Europa.
Parallelamente all’evoluzione del fronte bastionato, crebbero e si evolsero anche le tecniche d’assedio secondo criteri scientifici: gli “assedi scientifici” furono infatti teorizzati e poi efficacemente sperimentati più volte.
Si tratta di applicazioni matematizzate delle migliori strategie di assedio e di attacco alle fortificazioni: tra le principali, il metodo delle parallele (teorizzato da Vauban) prevedeva l’avanzamento delle linee attaccanti per trincee parallele a quelle delle mura.

In presenza di strutture di difesa come i forti bastionati di Vauban, l’attacco diretto diventava molto difficile. Spesso l’assedio risultava vincente non già militarmente, ma per l’impossibilità da parte degli assediati di sostentarsi, per la mancanza di approvvigionamenti.
Altra possibilità era il passaggio per linee sotterranee: si scavavano trincee radiali, avanzando sottoterra alla profondità di anche 6 metri, che si avvicinavano alla città sotto assedio: una volta raggiunta una distanza ottimale, il nemico avrebbe piazzato dell’esplosivo sotto le mura di cinta. Ci si difendeva di conseguenza, costruendo una galleria alla profondità più probabile alla quale avrebbe potuto incrociare quella nemica. La galleria aveva forma circolare, ciò che tra l’altro, le consentiva di sopportare bene un’interruzione, trattandosi di una rete ad anello; infine, le gallerie radiali di servizio venivano costruite al di sopra della rete circolare (sempre sottoterra), per meglio difendersi dalle esplosioni, con una pendenza negativa rispetto al forte.
Con il potenziamento delle artiglierie fu necessario estendere la linea di difesa delle città oltre il raggio consueto: le mura difensive si allontanavano sempre di più, e venivano costruite numerose fortezze oltre le mura di confine (come visibile nella Parigi attorno alla metà del xix secolo: essa era circondata da una serie di fortezze che controllavano la campagna intorno alla città).
Anche questa strategia si rivelò insufficiente quando la gittata delle artiglierie cominciò a superare le decine di chilometri, così come anche il bastione si rivelò presto oramai inutile e superato, quasi anacronistico, di fronte ai progressi del tempo: perfezionamento delle armi da fuoco e degli esplosivi chimici, definizione sempre migliore della forma ogivale dei proiettili che ne ottimizzava l’uso, sviluppo ed evoluzione delle tecniche metallurgiche di fusione, ovvero qualità sempre più alta delle artiglierie. Il bastione diventò inutile.
Durante la Prima guerra mondiale si ebbe un ritorno del valore deterrente dell’arma da fuoco: Parisgeschütz (ossia “Cannone di Parigi”, o ancora “Cannone Kaiser Guglielmo”) fu il nome dato dall’esercito tedesco al più grande pezzo d’artiglieria usato durante la Prima guerra mondiale; tuttavia, per via della piccola carica esplosiva, i colpi di questo cannone non procuravano grandi danni ed oltretutto la canna doveva essere sostituita spesso, mentre la precisione del tiro era così scarsa che i bersagli avevano le dimensioni di una città.
L’obiettivo dei tedeschi era però disporre di un’arma psicologica per intaccare il morale dei parigini, dal momento che un’arma così potente e al tempo stesso così imprevedibile avrebbe avuto solo l’effetto di generare “terrore” tra la popolazione civile e non.
Il simbolo contemporaneo della fine dell’era del fronte bastionato è la Linea Maginot, edificata nel 1928 dai francesi: essa si rifaceva al paradigma bellico della Grande Guerra, il conflitto di trincea per antonomasia, risultando assolutamente fuori luogo nel corso della Seconda guerra mondiale, che si rivelerà poi una guerra di movimento. Fu installata negli stessi luoghi che videro la guerra di trincea durante il primo conflitto mondiale, ed essa infatti non si rese mai effettivamente utile, dal momento che i tedeschi la aggirarono.