Serendipity

Città aperta

di Teju Cole

Recensione di Città aperta di Teju Cole, Torino : Einaudi, 2013
Città-aperta

L’opera di Teju Cole è la narrazione in prima persona delle sensazioni vissute dal protagonista Julius, nelle sue perergrinazioni. Tanto basterebbe a sintetizzare Città aperta. Apparentemente le vicende vissute da Julius, uno specializzando in psichiatria all’ultimo anno, non hanno gerarchia, non hanno livelli di importanza. Così come non hanno importanza le mete ultime delle sue camminate newyorchesi. Su tutto vincono l’estrema attenzione, la capacità di cogliere il particolare, la predilezione per il dettaglio minimo, che ricordano quasi quelle di Funes, il memorioso delle Finzioni di Borges. L’attenzione di Julius è però figlia di quella dei popoli che ancora sanno ascoltare, vedere e annusare prima di parlare con un’opinione formata. Il riferimento non diventa quindi Borges, quanto la storia delle principesse di Serendip, che camminano senza traguardi incontrando sempre cose belle e inaspettate.
Julius, infine, una propria gerarchia ce l’ha, e la scopre pian piano durante la narrazione. Un ordine di valori che prima vuole rifiutare, forse per volontà anticonformista, per poi aderirvi, in modo quasi sanguigno. Una chiamata dal profondo, si direbbe, che lo porta a schierarsi quando prima si era tenuto in disparte. Perché New York, il Belgio o Lagos non sono poi così distanti per chi voglia trovarne i punti di contatto. Con attenzione, per l’appunto.