Monocicli curiosi

Il primo monociclo con pilota all’interno della ruota risalirebbe addirittura al 1869: fu costruito dalle officine Rousseau di Marsiglia e funzionava a pedali.
La prima Dynasphere a motore del mondo, monoruota esposta al Salone di Torino del 1904, con motore monocilindrico verticale, trasmissione a cinghia con pignone finale e ruota dentata, fu realizzata dalla casa milanese Garavaglia.
È molto probabile che sia la prima realizzazione del genere in assoluto. Si tratta di una ruota del diametro di due metri in cui è montato un motore, sopra di cui è fissata una poltroncina per il guidatore. Un sistema di trasmissione a cinghia, con pignone e corona finali, fa sì che mentre il complesso motore-sedile rimane fermo in posizione verticale, la parte esterna della ruota rotoli normalmente, a velocità modesta sul terreno.
Seguono ulteriori esempi di questo strano mezzo, che acquista una certa notorietà, e conquista le copertine delle maggiori riviste di divulgazione tecnologica.
La stagione dei monoruota termina con l’inizio degli anni ’30, forse condizionata anche dalla Grande Depressione.
Un sussulto di vitalità, però, è più che recente: un’azienda brasiliana, la Wheelsurf Sport ltda, produce attualmente dei monoruota, che commercializza a un prezzo inferiore a 4000 dollari.

La tecnologia in Dante – un abbecedario (N-Z)

Noce: nella Crusca la parola è spiegata come indicante “quella parte della balestra alla quale si fermava la corda, per caricare l’arme” (Pd ii 24).

Orologio: in Pd x 139 e Pd xxiv 13, “congegno meccanico fornito di ruote dentate azionate da pesi e contrappesi o forse anche da molle, conosciuto in Occidente verso la fine del secolo xiii: e i due luoghi danteschi sarebbero appunto tra le prime testimonianze dell’uso di tali orologi a rotismi.

Palanca: ricorre come variante di pala in If xxiii 48, ad indicare una “tavola di legno” da usare come ponticello su un piccolo corso d’acqua. L’esame del contesto invita a rimanere nella lectio vulgata (come nel Petrocchi).

Poggia: p. “è una fune che tiene l’uno capo de l’antenna che tiene la vela pendente; e per questa poggia dà ad intendere lo lato destro de la nave” (Buti). In Pg xxxii 117.

Privado: “latrina”, “pozzo nero”: il termine, che negli antichi testi compare per lo più nella forma –to, si registra soltanto in If xviii 114.

Quadrello: nel senso proprio di “freccia” in Pd ii 23, oltre che nel Fiore (xxix 14, lxxi 14).

Rizzatoio: “drizzacrine”, cioè pettine d’avorio o d’osso, appuntito da una parte, usato per spartire i capelli in mezzo alla testa (Fiore, lii 12).

Scuriada: sferza, frusta di cuoio per incitare i cavalli. Dal latino tardo excorrigiata, da corrigia; in Salimbene “scuriata”. I codici settentrionali tramandano forme analoghe: scoriada, scorriata; l’uscita del Landiano, scorrigiada, è più vicina all’etimo.

Spuntone: arma costituita da un’asta con un lungo ferro quadro, e non molto grosso, ma con punta acuta”. Ricorre due volte nel Fiore, come simbolica arma di pietà (vii 14, cviii 9).

Staio: dal latino sextarius, la sesta parte del congio; indicava un’unità di misura di capacità per grano e altri aridi, e per traslato, il vaso con cui si effettuava tale misurazione (Cv IV xi 8, Pd xvi 105, Pg xii 103-105).

Stocco: spada lunga ed aguzza, particolarmente adatta al tocco di punta (Rime Dubbie, v 17).

Stregghia: allotropo toscano e centro-meridionale di “striglia”, strumento di ferro per la pulizia di cavalli e bovini, usato da Dante nell’espressione “menare s.” (If xxix 76).

Tagliata: termine del linguaggio militare, che indicava un’opera di difesa fatta d’un fosso con parapetto di terra e di alberi tagliati, al fine di difendersi, o di ritardare la marcia del nemico (Fiore, cxvi 7).

Uncino: propriamente, è un arnese terminante con una serie di punte metalliche ricurve e inserito in cima a un’asta; Dante chiama “raffi”, “roncigli” o “uncini” i rampini di cui sono armati i diavoli custodi della bolgia dei barattieri (If xxi 57, xxi 73, 86, xxii 69, 149).

Veggia: il termine, sinonimo antico di “botte”, si trova in If xxviii 22, riferito alla figura di Maometto.

Zappa: solo in Cv I viii 9.

La tecnologia in Dante – un abbecedario (A-M)

Ecco un abbecedario di termini legati alla tecnologia presenti nelle opere di Dante.

Alchimia: vocabolo di origine araba, col quale nel Medioevo si designava l’arte di tramutare i metalli ignobili in oro. Ricorre due volte nella Commedia: If xxix 119 e xxix 137.

Balestriera: “feritoia” nei castelli o nelle fortificazioni in genere, adatta per il tiro con la balestra (Fiore, ccxxiii 7, ccxxv 7, ccxxviii 3, ccxxix 10).

Barbacane: in Fiore xxviii 2 è citato come “terrapieno o antenmurale di sostegno e di rinforzo”.

Caditoio: l’aggettivo compare nella descrizione del castello di Gelosia (Fiore, xxviii 12). Le porte caditoie sono dispositivi a saracinesca, che si possono abbassare dall’interno dell’edificio.

Conocchia: è il “pennecchio”, la “massa di fibra” che si compila, si avvolge alla rocca allo scopo di filarla (Pd xv 124, Pg xxi 26).

Crocco: vale “uncino”, “rostro”, “arma con cui afferrare” (Detto, 366).

Darzanà: dall’arabo dar sina a, “casa di costruzione”, “arsenale” (If xxi 7). Quello citato è quello di Venezia, che sarà poi osservato da Dante durante una visita compiuta tra il 1308 ed il 1310.

Elsa: solo una volta, in senso proprio: Pd xvi 102.

Ferratura: è l’armatura di ferro che si suol porre a rinforzo di un oggetto (Fiore ccxxviii 12).

Frenaio: l’artigiano che fabbrica morsi per cavalli (Cv IV vi 6).

Giomella: è un’unità di misura, corrispondente alla quantità contenuta nel cavo delle mani accostate (Fiore cviii 4).

Imbertescato: participio passato di ‘imbertescare’, usato con valore aggettivale in Fiore xxviii 10. Vale “munito, difeso con bertesche”, che erano fortificazioni in forma di piccole torri costruite sopra maggiori corpi difensivi.

Limone: francesismo del Fiore (ccxvii 6), indicante propriamente ciascuna delle due stanghe del carro tra cui si pone il cavallo. Da cui limoniere, il cavallo che sta tra i ‘limoni’ del carro (Fiore, ccxvii 9).

Lulla: ciascuna delle due parti, a forma di segmento circolare, costituenti gli elementi laterali del fondo delle botti, oggi dette “lunette” (If xxviii 22).

Maciulla: nel senso proprio di “gramola”, “macchina per tritare il lino” o per dividere le fibre della canapa, in similitudine con le bocche del triforme Lucifero (If xxxiv 56).

Manganello: anticamente una macchina da guerra per scagliare grosse pietre o proiettili, nelle città assediate. Tre volte nel Fiore (xxix 12, li 12-14, xcviii 8). Vedi trabocco.

(continua)

Libri senza fili, senza costo, senza carta

Otto anni fa si era già distinto per aver creato un sistema di valutazione degli insegnanti secondo criteri aziendali. Così ne parlava il “Corriere della sera” il 29 gennaio 2002:

In cinque davanti allo specchio: i docenti che osservano se stessi rispetto alle loro competenze professionali, i loro colleghi che li giudicano, gli studenti che valutano i comportamenti e le capacità dei professori, i genitori che esprimono il loro parere nei confronti degli insegnanti dei propri figli.”

Oggi Giuseppe Strada, dirigente scolastico dell’Istituto Tecnico “Pacioli” di Crema, propone un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria per affrontare il problema delle spese sempre crescenti per i libri di testo. L’uovo di Colombo è, manco a dirlo, il pc. Un portatile di fascia base, un entry level, che sarebbe concesso per un minimo di tre anni a ciascuno studente per un canone mensile di circa 10 euro. Se a questo si aggiungono i fortunati esperimenti già compiuti in Italia per la redazione di testi scolastici da parte dei docenti, ovviamente a costo zero perché in formato elettronico, il cerchio si chiude.
Su di un altro versante, da un paio di mesi è disponibile per la vendita fuori dagli Stati Uniti il Kindle, l’e-book reader di Amazon. Una rivoluzione, perché la nitidezza e la stabilità della visualizzazione del dispositivo sono a un livello molto alto. 250 euro più tasse e ci si porta a casa un “coso” capace di leggere degli e-book in formato proprietario Amazon, dopo averli scaricati dallo stesso sito del più grande venditore di libri al mondo. Kindle legge anche i file in formato pdf, i file di testo e i fogli elettronici, e grazie alla sua connettività wireless può visitare il sito del giornale al quale siamo abbonati (uno solo in Italia, per ora, quello citato sopra) e così fungere da e-newspaper. Scorrere le pagine è comodo, e Kinlde pesa meno di 300 grammi. Primo risultato di rilevo di Kindle: il numero di e-book venduti da Amazon il giorno di Natale ha superato quello dei libri cartacei (forse, però, con le librerie chiuse, l’evento ha da essere ridimensionato).
Un po’ di anni fa (A Conversation on Information – An interview with Umberto Eco, by Patrick Coppock, February, 1995), Umberto Eco sosteneva:

Once I used to go to the library and take notes. I would work a lot, but at the end of my work I had, say, 30 files on a certain subject. Now, when I go into the library – this has happened frequently to me in American libraries – I find a lot of things that I xerox and xerox and xerox in order to have them. When I come home with them all, and I never read them. I never read them at all!

L’odore della carta di un nuovo libro potrebbe portare a considerazioni nostalgiche, anche un po’ banali, già possibili nel momento in cui Eco sosteneva questo pensiero. Per analogia al processo di fotocopia, invece, ci si può chiedere: ci stiamo una volta per tutte avviando al semplice possesso dei libri, seppure in formato elettronico?

La lettura sequenziale dei dischi in vinile è stata superata prima dall’accesso diretto (o randomizzato) dei cd-rom, poi dei dvd, e poi dalla realizzazione di compilation di mp3, con brani scelti tra migliaia. L’opera letteraria (eminentemente il romanzo, meno il saggio) ha normalmente una struttura interna fortemente sequenziale, sebbene possa essere intrigante una lettura randomizzata in qualche raro caso. Il libro rilegato ha forma funzionale a questo accesso. Con l’attuale stato dell’arte tecnologico il nostro approccio sarà verso una lettura ad accesso diretto? Creeremo delle compilation letterarie dove si inizia con il primo capitolo de I promessi sposi, proseguendo con qualche stralcio da Tre sono le cose misteriose, per concludere con le pagine finali de La morte a Venezia? Il tutto inframmezzato da estratti da Un amore di zitella, Il vecchio e il mare e Novecento?

la storia del denaro / 2

(continua il post del 13/01/10)

2) Si diceva come, per la realizzazione di “moneta” (il termine è qui ancora usato nel senso esteso, e non designa i dischi metallici), la scelta ricadde su materiali che, per propria intrinseca scarsità, non potevano essere facilmente trovati. I metalli erano un’ovvia opzione, poiché uno stesso quantitativo di metallo puro (o quasi) ha sempre lo stesso peso, e dunque sono misurabili; poiché sono inalterabili rispetto a un insieme di sollecitazioni ordinarie (come gli agenti atmosferici e condizioni di pressione e temperatura non estreme); e poiché la loro rarità, in tempi antichi, era dovuta alle difficoltà legate al loro ottenimento. Tuttavia, anche altri oggetti preziosi si mostrarono utili al bisogno.

Sino alle soglie del I millennio a.C. non era frequente l’accumulo di ricchezza, perché non vi era molta possibilità di immagazzinarla stabilmente con qualsiasi mezzo. Spesso, ciò che un “ricco” guadagnava era speso a fondo perduto.
La situazione mutò quando, attorno al VII secolo a.C., nel piccolo regno della Lidia, in Asia Minore, furono coniate le prime monete (elektron, termine con il quale si designava anche la lega di oro e argento che si poteva trovare in natura in quelle regioni). Il loro peso, il loro titolo (la purezza, cioè, del metallo di cui erano costituite) erano garantiti dallo Stato: diventavano così universalmente (ove l’universo è l’ambito geografico di diffusione della moneta) possibili gli scambi. Anziché abbisognare dei tassi di interscambio tra ciascuna delle merci e tutte le altre (a quanti zucchini corrisponde un’oca? A quante oche corrisponde un carretto? E questo vale quanti sacchi di grano? Si ha un’idea di come, con questi passaggi, sia difficile stabilire il tasso di scambio tra grano e zucchini), basta il solo tasso di qualsiasi merce in riferimento alle monete.
Iniziano le contraffazioni: si ricorda la celebre dimostrazione di Archimede, che stabilisce peso e volume di una quantità di metallo con uno stratagemma, mostrando come quello che si pretendeva come oro fosse in realtà una lega di metalli meno nobili.
In questo periodo nasce anche il prestito (tra l’altro, in Grecia e in Mesopotamia i tassi di prestito erano compresi tra il 10 e il 40%!).

I tre metalli da sempre preferiti per il conio delle monete furono l’oro, l’argento e il rame (quest’ultimo, non tanto per il proprio valore, quanto per le proprietà che conferiva alle leghe nelle quali era immesso). Nei momenti di maggiore crisi economica, le zecche battevano moneta in leghe con una maggiore concentrazione di rame, ciò che causava alle volte una mancata accettazione del denaro metallico nelle transazioni economiche, poiché il valore nominale era maggiore di quello intrinseco.
Tra oro e argento, i metalli più importanti per la battitura delle monete, nel Medioevo europeo e islamico fu formalizzato un rapporto di interscambio, che permetteva la conversione delle monete in oro in una quantità di argento, e viceversa. Secondo la disponibilità del momento, l’apertura o la conoscenza di miniere per l’ottenimento dei due metalli, questo rapporto oscillò tra 1 : 10 e 1 : 12 per lungo tempo.

Tra i materiali non metallici, uno tra i più utilizzati per la realizzazione di titoli di scambio economico fu l’ossidiana, cristallo vetroso di origine vulcanica, da lunghissimo tempo utilizzato per la produzione di punte di frecce e lance, e perfetto per le proprie caratteristiche di inalterabilità e rarità (ovviamente nelle zone vulcaniche è rintracciabile più facilmente).

(continua)

la storia del denaro / 1

Nelle sue diverse forme, il denaro è il mezzo per differire cronologicamente un baratto, per trasferire un possesso, per acquisire un bene. Esso è pertinente alle cose che hanno valore, ossia quelle che non sono disponibili indefinitamente.
Il denaro è simbolico per sua stessa natura; sta in-luogo-di, si basa su convenzioni (accettate in ambiti per lo più geograficamente limitati), e compie la sua funzione di sostituzione limitatamente nel tempo, non in modo indefinito.
La sua stessa etimologia va in questa direzione: i Greci chiamavano le monete symbolon, a testimonianza dello spostamento semiotico. Si tratta in realtà di informazione, di significato (con poco significante).

Seguiranno in evidenza i principali passaggi della storia del denaro; a ciascuno dovrebbe in qualche modo essere collegabile un archetipo, un modo di concepire il denaro medesimo. A ciascun archetipo dovrebbe poi essere possibile ricondurre un sistema di simboli.

1) Il sale e altre “cose” (animali, granaglie, oggetti lavorati).
Gli scambi di beni furono possibili in concomitanza con la disponibilità da parte dell’uomo dell’idea di valore, che discende a sua volta dalla capacità di manipolazione dei numeri.
Non sono completamente negabili le capacità computazionali dell’uomo pre-Neolitico, ma estremizzando, apparvero quando l’uomo, da nomade che era, grazie alle risorse prodotte con l’agricoltura divenne stanziale. Si produsse così un circolo virtuoso, per il quale tanto maggiore era la produzione e tanto più spinta era la specializzazione di coloro che compivano una certa attività, e viceversa.
Le caste degli scribi furono possibili nel momento in cui un’attività così specializzata e complessa (oggi la si direbbe mind intensive) potette essere compiuta in maniera esclusiva. In altre parole, gli scribi potevano permettersi di lavorare perché qualcun altro si occupava della produzione dei mezzi di sostentamento (alimenti, anzitutto) della comunità. Le società nomadi non avevano scribi.
Con la scrittura arriva la possibilità di annotare le quantità, di compiere equivalenze (definire, cioè, i criteri per cui a due “cose” o a due “insiemi di cose” è attribuito lo stesso valore), e di conseguenza di scambiare cosa per cosa.
Ma come si poteva differire lo scambio? Il supporto doveva avere tre caratteristiche: la misurabilità (peso o lunghezza di elementi standard), la persistenza (non doveva, cioè, alterarsi in breve tempo) e la non replicabilità (se scelgo delle pietre di fiume, chiunque può dotarsi di un quantitativo virtualmente infinito di moneta).
Nella sua Naturalis Historia, Plinio ricorda come i legionari romani fossero stati per lungo tempo pagati con del sale, da cui derivò il termine “salario”. Nacquero degli strumenti per la misura della lunghezza dei pani di sale, la cui rarità costituiva efficace antidoto contro la replica selvaggia della “moneta”.

(continua)

La ruota di Falkirk

La Falkirk Wheel è un’installazione posta presso l’omonima località scozzese, situata tra Glasgow ed Edinburgo.
Essa svolge funzione di raccordo tra i due principali canali artificiali di quella regione: il Forth and Clyde (costruito nel 1777 tra i porti di Grangemouth e Falkirk, al fine di connettere Glasgow con la costa occidentale scozzese) e il Canal Union (terminato nel 1822, copre la distanza tra Falkirk ed Edinburgo).
A causa dell’a conformazione del territorio, i due canali arrivano a Falkirk in prossimità l’uno dell’altro con un dislivello di 24 metri, anticamente colmato con 11 chiuse.
Le chiuse erano però costose da mantenere, oltre che lunghe da passare per un qualsiasi naviglio, e furono dismesse nel 1930. Nel 1963 iniziò la progettazione di questo enorme “carosello”, terminato poi nel 2002.
I due bracci della ruota portano alle estremità due “vasche”, nelle quali sono collocate le imbarcazioni, che rimangono così immerse in acqua. Le vasche hanno una capacità di 360.000 litri ciascuna.
I cassoni devono girare alla stessa velocità della ruota, ma in senso opposto, per mantenerli a livello e per essere sicuri che il carico formato dalle barche e dall’acqua non si capovolga quando la ruota gira. Ogni estremità dei cassoni è sostenuta da piccole ruote che girano sulla faccia interna dei fori del diametro di 8 metri all’estremità dei bracci, permettendo che i cassoni girino. La rotazione è controllata per mezzo di un treno di ingranaggi formato da tre ingranaggi grandi inframmezzati da due più piccoli ingranaggi folli, tutti con i denti esterni. Il grande ingranaggio centrale funge da “ruota sole” fissa. I due ingranaggi folli più piccoli fungono da “ruote pianeta”. Quando i motori girano la ruota, i bracci oscillano e le ruote pianeta agganciano l’ingranaggio sole, che guida le prime ad una maggiore velocità, ma nello stesso senso. Le ruote pianeta agganciano i grandi ingranaggi all’estremità dei cassoni, muovendoli alla stessa velocità della ruota centrale, ma nel senso opposto. Ciò annulla la rotazione dovuta al movimento dei bracci e mantiene i cassoni stabili e perfettamente livellati.
Pur a fronte della differenza di peso tra il carico trasportato dai due bracci della ruota, per effetto della legge di Archimede i due bracci sono sempre quasi perfettamente bilanciati, cosicché occorre una quantità di energia modestissima per movimentare la ruota. Basti pensare che il motore elettrico installato ha una potenza di soli 22,5 kW, pari a quelli di una vecchia Panda 30.
Decisamente poco se si pensa che un braccio, compresa l’acqua e l’imbarcazione, ha un peso di oltre 300 tonnellate.
Una rotazione completa (compresa l’attivazione delle chiuse e le regolazioni dei livelli dell’acqua) si svolge in circa un quarto d’ora, mentre una rotazione di 180 gradi richiede soli 5 minuti e mezzo.
La Falkirk Wheel è costata 17 milioni e mezzo di sterline, mentre la spesa per il progetto complessivo di ristrutturazione del sistema dei due canali è ammontata a 84 milioni e mezzo.
L’installazione è oggigiorno uno dei simboli della Scozia, tanto da apparire anche sul retro delle baconote da 50 sterline emesse dalla Bank of Scotland nel 2007.

L’effetto Coanda

Tutti almeno una volta hanno verificato che, mettendo un dito sotto il rubinetto aperto, il flusso dell’acqua tende a seguire il contorno della superficie del dito, piegandosi in maniera quasi inattesa.
Ciò è dovuto all’attrito tra l’acqua e la pelle, per cui si ha un rallentamento delle molecole di fluido a contatto; tuttavia, per via della coesione tra le molecole d’acqua più esterne e quelle rallentate, si ha una deviazione di tutto il flusso, che rimane aderente alla superficie solida.
Henri Coandă (1886-1972), pioniere dell’aeronautica rumeno, fu il primo a realizzare un aeroplano funzionante con propulsione a reazione. Nel 1910 sperimentò suo malgrado l’effetto che da lui avrebbe preso il nome: le fiamme uscite dal propulsore avvolsero la fusoliera del velivolo, proprio a causa dell’attrito e conseguente deviazione del flusso dei gas di scarico con la superficie. perse il controllo del mezzo, che andò distrutto, lasciando però illeso lo scienziato rumeno.
Risale al 1939 il prototipo della Vought Aircraft Company, che realizzò un velivolo la cui forma è quella “classica” dei dischi volanti, dal nome forse non eccelso di “Flying Flapjack”. Il mezzo si librava in qualche modo nell’aria, soprattutto grazie alla sua forma. Molti avvistamenti nel corso di tutto il secondo conflitto mondiale di oggetti non identificati possono essere legati alle missioni di questi strani velivoli. Tra gli ultimi avvistamenti registrati vi è quello di Kenneth Arnold, di Boise, Ohio, che nel 1947 denunciò l’avvistamento di un “disco volante” dal proprio velivolo da turismo. Pochi mesi dopo la Marina Militare americana dichiarò la sperimentazione con il Vought V-173 (questo il nome dell’aereo) conclusa.
Nel 1990 il Pentagono sperimentò un oggetto che già dal nome si manifestava oscuro: l’MSSMP (Multipurpose Security and Surveillance Mission Platform) fu progettato come mezzo di supporto tattico multiuso. Le finalità previste per il suo utilizzo spaziavano dal controllo degli incendi boschivi al supporto alle forze di soccorso in aree colpite ad esempio da catastrofi naturali, costituendo ponti radio; le applicazioni più strategiche comprendevano molte operazioni di ricognizione.
Oggi l’oggetto del desiderio del Pentagono va sotto il nome di “GFS Projects” (“Geoff’s Flying Saucer”), e sta per il progetto di un velivolo in grado di sollevarsi dal suolo, librarsi in aria, muoversi a zig-zag e atterrare dolcemente.

Il tutto per mezzo di un ventilatore, che soffia aria all’interno del velivolo verso l’alto; l’aria discende poi internamente lungo la superficie curva grazie proprio all’effetto Coandă, dando così portanza al mezzo, e sollevandolo.

La neve inventata/3

(continua il post del 9/1/2010)
Negli ultimi anni gli sciatori hanno avuto la possibilità di sciare al coperto, magari in pianura, in città, e magari con temperature esterne ben diverse da quelle a cui il manto nevoso si mantiene.
La prima pista da sci al coperto al mondo è stata lo Snowdome (anche noto come monte TheBarton) di Adelaide, in Australia. La struttura è stata chiusa nel settembre 2002 dopo circa 15 anni di attività per il lievitare dei costi di gestione.

Ecco i principali impianti di questo genere attualmente operanti:
Belgio

  • Snow Valley, Peer
  • Skibaan Casablanca, Gravenwezel
  • Ice Mountain, Komen (lunga 210 m)

Cina

  • Qiaobo Ice & Snow World, Beijing (ospitata da una galleria artificiale nella roccia)
  • Shanghai Yinqixing Indoor Snow Centre (lungo 380 m)

Dubai

  • Ski Dubai, Mall of the Emirates, Dubai (il più grande parco invernale al coperto)

Finlandia

  • Kymppi Arena, Kylpylahotelli Vesileppis, Leppavirta

Francia

  • Snowhall, Amnéville-les-Thermes

Germania

  • Jever Skihalle Neuss, Dusseldorf
  • Alpin Center am Tetraeder, Bottrop (con i suoi 640 metri di lunghezza, è probabilmente la più lunga pista da sci indoor del mondo)
  • Snow Funpark, Wittenburg
  • Snow Dome Bispingen, Hamburg
  • Snowtropolis, Horlitz

Giappone
Assoluto punto di riferimento nel settore, lo SSAWS (“Spring, Summer, Autumn and Winter Ski”) di Tokyo è stata la più celebre pista da sci coperta, dalla sua realizzazione nel 1993 sino alla chiusura nel 2002 e allo smantellamento nel 2003. Aveva una lunghezza di circa 500 metri e una larghezza superiore ai 100. Costato circa 400 milioni di dollari americani, avrebbe dovuto raggiungere il punto di pareggio economico nel 2018. Sommandosi ad anni di risultati economici sotto le aspettative, lo scoppio della bolla speculativa del mercato borsistico giapponese lo fece andare definitivamente in disgrazia.

  • Coolval Tokyo, Tokyo
  • Snova Kobe Free-ku, Kobe (lungo 50 metri e largo 26)
  • Snowva Hiroshima Boarders Arena, Hiroshima
  • Seibuen Yuenchi Snowboard Park, Saitama (lungo 150 metri, largo 236)
  • Snowva Kashii, Fukuoka
  • Across Shigenobu, Ehime
  • Snova Shin, _Yokohama
  • Snova R246, Mizonokuchi
  • Snova, Ashima
  • Bigar, Fukuoka

Nuova Zelanda

  • Snowplanet, Auckland

Paesi Bassi

  • Snow Village, Biddinghuizen
  • Montana Snow Centre, Valkenswaard
  • Uithof, L’Aia
  • Ski Dome, Ruchpen
  • SnowWorld, Zoetermeer (lungo 210 m)
  • SnowWorld, Landgraaf (lungo 500 m)
  • Snowplanet, Spaarnwoude (lungo 230 m)

Regno Unito

  • Milton Keynes Xscape, Milton Keynes
  • Castleford Xscape, Castleford
  • Glasgow Braehead Xscape, Glasgow
  • Tamworth Snowdome, Tamworth
  • Chill Factore, Trafford Park, Manchester
  • The Snow Centre, Hemel Hempstead

Singapore

  • Snow City, Singapore

Spagna

  • Madrid Snow Dome, Madrid

Sud Africa

  • Snowfun, Città del Capo

In progetto o in fase di realizzazione:

  • Snow Games, Anversa (Belgio)
  • Dubai Snowdome, Dubailand (Emirati Arabi Uniti)
  • Lido Boulevard, Johor (Malesia)
  • SnOasis, Great Blakenham (Regno Unito; apertura prevista per il 2012)
  • Wycombe SnowDome, High Wycombe (Regno Unito; era prevista l’apertura per il settembre 2009…)
  • Myriad Botanical Resort, Mississippi (USA)
  • Las Vegas, Nevada (USA, prevista l’apertura per il 2011)

La neve inventata/2

(continua il post del 8/1/2010)
Gli usi della neve artificiale a sostegno della grande industria dello spettacolo furono tipici degli anni ’30: nella realizzazione dei film hollywoodiani, i materiali artificiali in uso non garantivano la brillantezza della neve appena scesa, mentre i cumuli non presentavano la struttura cristallina propria del naturale. La neve artificiale era prodotta con macchine che riscaldavano silicati di alluminio o di potassio, somiglianti in qualche modo a un cumulo di neve. Le “grattugie” per il ghiaccio, tuttavia, erano ancora le macchine più diffuse.
La seconda Guerra Mondiale portò con sé la necessità di ridurre l’impiego di materiali ricchi, e si dovette ricorrere a soluzioni economicamente più vantaggiose, come una mistura di sapone e un po’ d’acqua, che lasciata asciugare poteva essere divisa in piccole particole; queste non erano proprio uguali ai fiocchi di neve, ma per effetti scenici e decorazioni servivano egregiamente alla bisogna.

Le prime applicazioni sciistiche della neve artificiale risalgono all’immediato dopoguerra e, come in molti altri casi nella storia delle tecniche, più realizzazioni giunsero allo stesso tempo e indipendentemente a risultati simili.

L’inverno del 1948 fu avaro di neve, almeno nella parte orientale degli Stati Uniti; William Schoneknecht, che gestiva una stazione sciistica in Connecticut, per non perdere i ricavi di un’intera stagione fece trasportare sulle piste qualcosa come 500 tonnellate di ghiaccio, che tritato sul posto poté fungere da neve per qualche settimana. I costi di questa soluzione erano però insostenibili al di fuori dell’episodio.

Pochi anni dopo la novità: all’inizio degli anni ’50, durante gli studi sul congelamento delle prese d’aria dei motori a reazione, in un laboratorio di ricerca canadese fu trovato in maniera casuale un metodo efficace per la produzione della neve artificiale. Ray Ringer, il direttore della ricerca, notò che l’acqua spruzzata sulle prese d’aria del motore non si trasformava in ghiaccio, ma ricadeva nella galleria del vento sotto forma di neve. A nessuno dei ricercatori interessava però quella proprietà, così nessuno pensò di brevettarla.
Contemporaneamente, proprio a causa dell’inverno del 1948, l’azienda di Wayne Pierce, produttore di sci, finì sull’orlo del fallimento. Pierce si ingegnò a trovare un metodo per risollevarne le sorti, e il risultato fu l’applicazione combinata di un compressore, di un tubo da giardino e di un diffusore spray: l’acqua nebulizzata nell’aria fredda cristallizzava immediatamente in piccoli cristalli di neve. Questo “cannone” fu poi montato su di una specie di slitta, che scorreva lungo la pista, innevandola da cima a fondo.
L’alto fabbisogno di energia e il rumore prodotto dai compressori erano svantaggi di non poco conto per questo metodo. L’americano Alden Hanson risolse entrambi i problemi con l’applicazione di un ventilatore: ne risultava una pioggia di minutissime goccioline, che a contatto con l’aria gelida si trasformavano in cristalli di neve. La realizzazione risale al 1958, e come il metodo di Pierce è precursore di quelli che sfruttano la miscelazione in pressione di aria e acqua, così l’idea di Hanson è antesignana dei successivi sistemi che usano il fan o ventilatore per diffondere le goccioline d’acqua nell’atmosfera.
I decenni successivi videro il miglioramento delle applicazioni di questi due schemi, anche grazie all’aumento delle conoscenze sul processo di formazione della neve naturale nell’atmosfera. La cosiddetta “nucleazione” delle gocce d’acqua in atmosfera fredda (ossia, la formazione dei cristalli di neve) è stata studiata approfonditamente, e oggi si dispone di modelli teorici che la spiegano sufficientemente bene da riprodurre le stesse condizioni di pressione e temperatura per il corretto funzionamento di lance e “cannoni”.
Oggigiorno, anche a causa degli attesi mutamenti climatici, circa il 70% delle piste alpine è fornito di sistemi di innevamento artificiale, che sono pure massicciamente diffusi oltreoceano. Una soluzione obbligata per dare certezza di inverni “in discesa” a milioni di sciatori.

(continua)