l’effetto del lunedì – 01 – Magnus

Molti ricorderanno il famoso “tiro delle tre dita” eseguito dal calciatore brasiliano Roberto Carlos nel corso del Torneo di Francia del 1997, al quale parteciparono anche Inghilterra e Italia. Nella partita contro la Francia il terzino di spinta (neanche nel ’97 si usavano più questi termini, ma poco importa) cacciò una fiondata impressionante nel sacco difeso dal portiere francese Barthez (l’incolpevole Barthez, certo). Le riprese dal basso rendono giustizia al tiro:

Il tiro, già, noto, torna ora alla ribalta come ottima applicazione dell’effetto Magnus, che si riscontra nel caso di un solido rotante in un mezzo di densità comparabile, ossia i cui pesi specifici non differiscono di molto, come ad esempio un pallone che si muove nell’aria.
The spinning ball spiral è un articolo apparso sul numero di settembre 2010 del “New journal of physics”, a firma di Guillaume Dupeux, Anne Le Goff, David Quéré e Christophe Clanet, dell’Ecole Polytechnique parigina. Al termine dell’articolo si cita esplicitamente il tiro di Carlos come esemplificativo dell’effetto, anche se contestualmente si riporta una tabella che chiarisce gli ambiti nei quali l’effetto Magnus si può verificare anche in altri sport.
L’articolo è stato prontamente ripreso dalla stampa, sportiva e non, forse perché piace ricondurre a un sistema coerente di conoscenza ciò che a prima vista è dettato da un comportamento casuale. Purtroppo, però, l’articolo è sufficientemente tecnico da costituire uno scoglio consistente, per quanto i più volenterosi tra i giornalisti si siano messi di buon buzzo per diffonderne una vulgata. Eccone un risultato:

“La stampa” di Torino, nell’articolo di Andrea Malaguti, parla di “«Equazione del brasiliano», una formula complicata piena di lambda e di p greco”. Siamo alle solite: c’è uno scienziato pazzo che, chiuso nel proprio laboratorio, fa esperimenti astrusi, e qualche rarissima volta i risultati derivanti toccano anche il nostro mondo.
Magari vale la pena parlare di questa formula, e del concetto che sta alle spalle. In estrema sintesi, l’effetto Magnus afferma che un corpo rotante in un mezzo – il mezzo può essere l’aria, l’acqua, la sabbia, l’omogeneizzato o il barolo, basta che il corpo sia più o meno denso quanto il mezzo – tende a trascinare con sé una certa parte del mezzo che gli sta accanto. Ciò capita solamente dove il mezzo e il corpo hanno verso concorde di movimento. La figura qui sotto dovrebbe spiegare bene il concetto (cliccandovi sopra si ingrandisce):

Il pallone gira in senso antiorario, e si sposta verso sinistra, quindi aderisce superficialmente con gli strati d’aria che stanno nella parte inferiore della figura; con quelli, cioè, che si muovono “insieme” con la superficie del pallone. La conseguenza di questo comportamento è meno immediata, ma fondamentale per il risultato finale: si origina una depressione proprio in quella zona, in basso nella figura, e il pallone, analogamente a quanto accade all’ala di un aereo, si sposta proprio verso la depressione; se è più comodo pensare che nella parte superiore della figura vi sia una maggior pressione il risultato è il medesimo. Come ovvio, nel nostro caso si sposta verso il basso, e la freccia rossa indica la direzione della forza risultante.
Il signor Caressa compie un errore dicendo che l’effetto Magnus si ha quando il pallone non ha rotazione; è l’esatto contrario: l’effetto ha luogo proprio quando la rotazione è in un certo intervallo di valori, così come la velocità, così come un insieme di parametri.
In altri termini, l’effetto Magnus avviene solo quando un insieme di condizioni è rispettato. Non tutti i tiri sortiscono l’effetto di quello di Carlos (i portieri ringraziano). Occorre una certa velocità minima, occorre che la rotazione impressa sia non troppo piccola e non eccessiva, occorre che il pallone abbia certe caratteristiche (molti sostengono che i palloni odierni descrivano traiettoria molto più imprevedibili), e occorre che la distanza dalla porta sia oltre un certo valore.

A questo punto i praticanti degli altri sport potrebbero chiedere “Esiste l’effetto Magnus nel mio sport?”. L’articolo dà una risposta sintetica ma esaustiva…

(continua)

l’alluminio, un bravo trasformista – 1

Tra i metalli, all’alluminio va il ruolo del miglior trasformista. Nei millenni è stato in grado di recitare i ruoli più disparati, arrivando solamente nella maturità (o nella tarda vecchiaia, se si considera la sua “vita” sino a oggi) a mostrare il proprio vero volto, lucido e brillante. Quando apparve come tale, pur essendo diffusissimo, fu considerato alla stregua dei metalli preziosi, dal cui novero uscì prontamente quando fu trovata la maniera di produrlo in modo sufficientemente conveniente.
Non che magari non gli sarebbe piaciuto mostrarsi prima, ma è che proprio non ce la faceva. Senza saperlo, lo utilizzavano già Sumeri e Babilonesi tremila anni orsono, sotto forma di silicati idrati (cioè delle sabbie argillose), con i quali realizzavano stoviglie e oggetti di uso quotidiano. A causa di questo utilizzo sarà in seguito chiamato il “metallo dell’argilla”. Similmente, gli Egizi conciavano e tingevano pelli e tessuti con l’allume, un solfato del nostro trasformista.
Parrebbe che un ignoto orafo avesse presentato all’imperatore Tiberio (42 a.C. – 37 d.C.) il metallo nella sua forma pura. Ne accenna Plinio il Vecchio nella monumentale (è eipiteto fisso per quest’opera) Historia Naturalis Plinio il Vecchio menziona un metallo argenteo le cui caratteristiche suonano assai familiari:

“Un giorno a Roma un orafo presentò all’Imperatore Tiberio un piatto fatto di un nuovo metallo. Questo piatto era molto leggero e brillava come l’Argento. L’orafo disse all’Imperatore che aveva ricavato questo metallo dall’argilla e gli assicurò che soltanto egli e gli Dei sapevano come ottenere tale straordinario risultato. L’Imperatore si mostrò subito interessato, e da esperto amministratore quale era capì immediatamente che tutti i suoi tesori d’Oro e d’Argento si sarebbero svalutati completamente, se il popolo avesse iniziato a produrre il nuovo metallo traendolo dalla volgare argilla.
Perciò, invece di tributare all’orafo gli onori che questi si era aspettato, lo fece decapitare.”

Che prendere simili decisioni porti bene, se si considera che Tiberio, pur settantasettenne, fu soffocato nel sonno, parrebbe non essere così certo; in realtà, visto lo scarso rigore che spesso Plinio mostra, non si può nemmeno essere sicuri che il metallo mostratogli fosse realmente alluminio. Ma i trasformisti non lasciano tracce dei loro vestimenti.

Nel frattempo, l’alluminio era stato sotto gli occhi di tutti per lunghissimo tempo, sotto forma di ossido (Al2O3), parola che suscita una sensazione di opacità, che scompare se si pensa che due varianti di questo ossido prendono il nome di rubino e zaffiro, varietà di un medesimo minerale, il corindone (che forse qualcuno ricorda per occupare il nono scalino della scala di Mohs, dopo il topazio e prima del diamante). Il corindone è minerale cosiddetto allocromatico, ossia che prende un’ampia gamma di colori, secondo le impurità presenti nella sua struttura cristallina. Il rubino è rosso per via della presenza di cromo; il meno prezioso zaffiro, invece, deve il suo blu a piccole percentuali di ferro e titanio.

Il problema fondamentale nell’ottenimento dell’alluminio nella sua forma metallica pura è la grande forza del legame del suo ossido. Nel caso di altri ossidi, come quelli del ferro, si estrae il metallo riducendolo con carbonio (ad esempio riscaldandolo con un fuoco di carbone), in modo da “strappargli” gli atomi di ossigeno; nel caso dell’alluminio, elemento particolarmente reattivo, questo non è possibile, perché esso ha un potere riducente maggiore di quello del carbonio. In altre parole, agli atomi di carbonio piace di meno stare con quelli di ferro rispetto a quelli di carbonio, ma i loro preferiti restano quelli di alluminio.
Sino al xix secolo non vi fu nessun forno in grado di sciogliere questo legame, poiché non poteva esistere alcuna tecnica legata al calore capace di sovvertire quelle “preferenze”. Si doveva attendere la nuova energia, quella elettrica, per liberare il trasformista dai suoi costumi.

(continua)

la lista del giovedì – 01 – cose che non puoi fare con l’iPad ma con un quotidiano sì

Gran bell’oggetto, l’iPad. E’ il futuro, oggi. Tra qualche anno gli edicolanti dovranno cercarsi un altro mestiere, e molti librai pure. Leggerezza, perfetta visualizzazione, possibilità di prendere appunti e note in modo veloce e organizzato allo stesso tempo, rimozione di enormi quantità di carta da case e uffici. L’iPad ha un grande futuro davanti a sé. Anche i radical chic tra poco cederanno.

Senza voler sembrare retrogradi, però, si vogliono segnalare alcune attività che non si possono compiere agevolmente con un iPad, ma con un quotidiano sì:

1. riciclarlo (va bene, si riciclerà pure in qualche modo, ma non c’è confronto);
2. sedersi su di una panchina e farci i buchi per spiare qualcuno senza essere visti;
3. coprirci i mobili o il parquet quando si tinteggia;
4. ritagliarne una parte e appenderla con una puntina per poi dimenticarsi di averlo fatto;
5. arrotolarlo e cacciare zanzare, mosche, pappataci e altri ditteri;
6. impiegarlo come riempitivo in cavità di vario genere;
7. pulire i vetri inumidendolo;
8. lasciarlo in treno dopo aver letto le cose che più ci interessano;
9. metterci in mezzo una rivista che si vuole nascondere;
10. darne parte a una persona che vuole leggere altro da quello che leggiamo noi;
11. (se si è un muratore) farci un cappello;
12 (bonus). metterlo sotto la maglia d’estate quando si è in giro in bicicletta e si approccia una discesa (per la verità, se si dispone di un numero adeguato di iPad l’operazione è fattibile anche con il gingillo della Apple; non ne si segnalano i lati negativi).

Relativamente al punto 3., è notorio che l’articolo più interessante di un giornale è quello di un numero di un certo giorno del mese prima, che si scorge mentre si spennella una parete. Ci si può trovare immersi nella lettura mentre la nostra pennellessa sgocciola su di una porzione non protetta della nostra stanza.

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generazione di suoni

In fondo ce lo saremmo dovuti aspettare, prima o poi. E dai Giapponesi, certo.
Una delle caratteristiche principali della Toyota Prius, celebre tanto per essere la prima automobile ibrida di larga diffusione quanto per la propria linea non certo accattivante (ma utile per abbassarne quanto possibile il coefficiente aerodinamico), è la silenziosità a basse velocità, quando è spinta dal solo motore elettrico. La si direbbe una peculiarità positiva, ma qualcuno non l’ha pensata così, ritenendo che l’assenza di rumore fosse addirittura pericolosa per quegli improvvidi pedoni, che ignari del sopraggiungere di un veicolo alle loro spalle o da un angolo cieco, si trovassero a camminare in mezzo a una strada o ad attraversare un incrocio senza curarsi del passaggio di autovetture.
Ora, se il materno mantra “fai attenzione quando attraversi la strada” è scandito con devozione dalle madri italiane ed europee, ciascuna nella lingua che più le compete, c’è da non avere dubbio che la litania sia recitata con anche maggior vigore da quelle giapponesi, che devono abituare i pargoli a un ambiente con una densità automobilistica pari se non maggiore di quella occidentale.
Ci si può così chiedere a chi possa servire il generatore di suono (sì, generatore-di-suono), altrimenti definito come “Approching Vehicle Audible System”, presto disponibile a pagamento (120 euro circa) sulla vettura nipponica. La domanda passa però in secondo piano quando si osserva il seguente filmato, e si ascolta il rumore prodotto dal generatore (è anche interessante vedere il comportamento di quella che si può supporre essere la ragazza media giapponese, la cui madre – si evince – non ha mai catechizzato a dovere la pargola sui pericoli della strada):

Che razza di suono è? Chi mai può desiderare di avere un’automobile che produce quel suono? Si dirà, lo stesso individuo che cammina in mezzo alla strada. Forse. La cosa che vi si avvicina di più è il rumore dei rotori volanti della serie “UFO”, che nel 1969 immaginava il mondo e i rapporti con gli extraterrestri nel 1980 (non sarebbe convenuto dare un po’ più di vantaggio o si dovevano giustificare pantaloni a zampa e pettinature?). Li si sente bene attorno a 1’30” del seguente filmato:

Come le voci dei generatori satellitari, un dispositivo come il generatore di suono dovrebbe almeno consentire una scelta tra alcuni rumori. Ecco una possibile lista:
– marcia di Radetzky;
– carro armato Leopard;
– vuvuzela;
– kazoo;
– Ape Car;
– Diego Abatantuono che imita l’Ape Car;
– Citröen 2CV;
– Prinz 4;
– Husqvarna TE510;
– la propria voce registrata, con cose del tipo “Méééééééééééééé (cambio) mèèèèèèèèèèèèè…”