24 – soda e coloranti

Nell’industria chimica la soda caustica è un reagente di ampio impiego; è utilizzato nella sintesi di coloranti, detergenti e saponi, nella fabbricazione della carta e nel trattamento delle fibre del cotone, nonché nella produzione dell’ipoclorito di sodio (la comune candeggina) e di altri sali sodici, quali il fosfato ed il solfuro.
A livello domestico trova uso nei prodotti per disgorgare gli scarichi dei lavelli; va maneggiato con una certa cautela, dato che provoca ustioni per contatto con la pelle e cecità per contatto con gli occhi.

II crescere della domanda di alcali durante tutta la prima metà del XVIII secolo ne fece lievitare notevolmente il prezzo, ma non vi fu alcuna possibilità di produzione da altre materie prime che non fossero i vegetali fin quando non furono stabiliti i concetti fondamentali di sostanza e di composizione.
Nel 1736 il francese H.-L. Duhamel (1700-1782) provò che il sale comune era un composto della base della soda e dello spirito di sale (acido cloridrico). Quando il chimico inglese Joseph Black (1728-1799) stabilì che soda e potassa non erano altro che i corrispondenti composti caustici combinati con aria fissa (anidride carbonica), apparve anche il nesso fra materie prime facilmente accessibili, quali il salmarino e il calcare, e la soda, ma occorsero tre decenni di proposte e di tentativi pratici prima di giungere ad una “soluzione” accettabile a opera di Nicolas Leblanc nel 1775 (premio dell’Accademia francese).

II sistema tecnico della soda Leblanc rimase sostanzialmente invariato fino al 1863, quando per una singolare coincidenza esso si trovò sottoposto a una duplice fortissima pressione, economica e politica. La prima veniva dalla proposta di un processo alternativo da parte del belga Ernest Solvay (1838-1922), la seconda era costituita dall’inedita legge anti-inquinamento inglese, l’Alkali Act.

Il principio del processo Solvay è il seguente: se in una soluzione di sale saturata con ammoniaca si fa gorgogliare anidride carbonica si ottiene un precipitato di bicarbonato di sodio, poco solubile, da cui per riscaldamento si ha la soda.
Ernest e Alfred Solvay compirono il passo decisivo con la messa a punto di una torre di carbonatazione.
Già alla fine degli anni ’90 il processo Solvay aveva raggiunto, per quantità prodotta, il metodo Leblanc (con il quale, per ogni tonnellata prodotta, venivano scaricati nell’aria 0,75 t di cloruro di idrogeno).

La storia dei coloranti di sintesi iniziò da un’intenzione “farmaceutica”. Nel 1855 il diciassettenne William H. Perkin (1838-1907) era entrato nel Royal College of Chemistry; gli era stata indicata come tema di ricerca la sintesi della chinina, una sostanza vegetale impiegata nella cura della malaria. Nel 1856 Perkin si imbattè più volte in precipitati di incerta composizione, ma di spiccata colorazione. Perkin ignorò l’avviso di studiare solo sostanze purificate e cristallizzate, e accentrò il suo interesse sui risultati della reazione fra dicromato potassico e anilina. Dopo una prima esperienza condotta su un impianto pilota di tipo familiare, depositò il 26 agosto 1856 il brevetto del nuovo colorante, la porpora di anilina. Il successo fu immenso, immortalato nella leggenda dalla comparsa della regina Vittoria all’Esposizione universale del 1862 interamente vestita in mauve, secondo il nome francese del colorante di Perkin.

Dopo il lancio commerciale del mauve le scoperte nel nuovo campo furono innumerevoli: a partire dal magenta (o fucsina) di E. Verguin (1859), il blu di metilene, scoperto da H. Caro (1834-1910) nel 1876, e tuttora usato per il cotone, il verde malachite (1878) di O. Fischer (1852-1932), e il rosso Congo di P. Böttiger (1884), il primo colorante diretto per cotone.
Il passaggio più evidente dall’empirismo all’intenzione costruttiva della chimica strutturale si ebbe già con la sintesi dell’alizarina di Karl Lieberman (1842-1914) e Carl Graebe (1841-1927) nel 1869. Per giungere alla loro sintesi i due ricercatori avevano utilizzato le conoscenze più avanzate sui chinoni e sui composti aromatici, nonché sulle reazioni che permettevano di passare da una classe di composti organici a un’altra.
La struttura della molecola dell’indaco richiese anni di studi per essere rilevata da Adolf Bayer (1835-1917), che fra il 1880 e il 1883 propose quattro vie di sintesi del composto. Nessuna di queste rese la sintesi industriale competitiva con il prodotto naturale, e la pressione della BASF su Bayer fu tale da portare a una rottura nel 1885. L’indaco sintetico fu commercializzato dalla BASF dal 1897.

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