21 – setting of the stage, scatole nere e alberi impossibili

Secondo Abbott P. Usher (A History of Mechanical Inventions, 1929 e 1954), invece, l’atto di intuizione individuale può essere formalizzato come un percorso a quattro stadi: percezione del problema, setting of the stage, atto di intuizione, revisione critica.
Con la locuzione setting of the stage, letteralmente, “sistemare il palcoscenico”, Usher intendeva il contesto nel quale deve avvenire l’invenzione, cioè gli elementi che l’inventore prende come riferimento, e sulla base dei quali avviene l’atto di intuizione, una possibile soluzione del problema che sfocia nella produzione di un prototipo sottoposto a successiva revisione critica. Per capire meglio questo ciclo ricorsivo possono essere di aiuto alcuni esempi. Corradino D’Ascanio ideò la “Vespa” mutuando alcuni elementi dalle costruzioni aeronautiche. Similmente, Gustave Eiffel prima di intraprendere la costruzione dell’omonima torre, si occupò di studi di aerodinamica, che gli servirono per la determinazione di alcune importantissime caratteristiche proprio della Torre. Ancora, il “Flyer” dei fratelli Wright derivava dalle esperienze dei due fratelli come costruttori di biciclette, dalle prove in galleria del vento e da numerosi esperimenti preliminari.
In tutto ciò si inserisce l’importante contributo di Nathan Rosenberg, che nel suo Dentro la scatola nera: tecnologia ed economia (1984) affrontò il problema della “scatola nera”; trattò cioè delle strette interazioni tra economia e tecnologia. Secondo Rosenberg sono poche le aziende che possono permettersi di “pensare a lungo termine”, per diverse cause, che possono essere economiche, e manageriali.
Altro concetto introdotto da Rosenberg fu quello di “squilibrio tecnologico”, che si riferisce al mutamento nel quadro organizzativo che fa sì che un sentiero sia preferito ad un altro; Rosenberg, in altre parole, descrisse degli esempi in cui certe condizioni portano a prendere determinate direzioni tecnologiche.
Da un punto di vista sistematico, gli approcci all’atto di intuizione sono principalmente due, quello riduzionista e quello olistico. Il primo ha tendenza a simulare un evento naturale, come nel caso dell’ala battente che riproduce quella di un uccello, mentre il secondo non si cura di quello che c’è dietro, ma è interessato solo al risultato finale. Ancora, nel primo caso abbiamo un approccio analitico, nel secondo sintetico, cioè guarda al suo insieme; il primo apprende da eventi, dal caso singolo, il secondo invece guarda al modello, e infine se il primo ha un tipo di cultura scientifica, il secondo multidisciplinare, cioè mette insieme elementi apparentemente esterni e non coerenti.
Una teoria molto diffusa è quella per cui la necessità spiega l’esigenza tecnologica.
Secondo George Basalla (L’evoluzione della tecnologia, 1991), invece, le invenzioni sono slegate dalle necessità attuali. Esse sono determinate come nel caso delle mutazioni biologiche, che hanno portato all’affermazione ed evoluzione delle specie più adatte all’ambiente, dal caso stesso.
Questa teoria che vede gli oggetti tecnologici slegati dalla necessità sembra essere avvalorata dal fatto che Marx stesso, ad esempio, nel 1867 apprese che a Birmingham esistevano più di 500 tipi di martelli. Tutto ciò proverebbe che “ogni società, in ogni tempo, possiede un potenziale di innovazione tecnologica superiore a quello che essa può sperare di sfruttare”.
Basalla propose inoltre una nuova visione della relazione causale tra necessità e invenzione, e prendendo spunto dalla vicenda dell’automobile, affermò che è l’invenzione a creare la necessità, cioè dubitando che l’automobile fosse realmente necessaria a priori? Più realisticamente, secondo lo storico, fu l’invenzione dei veicoli a motore a creare la necessità del trasporto motorizzato.
Un esempio contrario è rappresentato dai Mesoamericani, i quali non si servirono dei trasporti su ruote, perché la configurazione topografica della regione e la forza di trazione animale di cui potevano disporre non li rendeva possibili. Questo dimostra che la ruota non è l’unico meccanismo necessario, o utile, a tutti i popoli e in ogni luogo.

Per inciso, secondo alcuni la tecnologia non è nemmeno necessaria per soddisfare i bisogni elementari dell’uomo; il filosofo José Ortega y Gasset la definisce “produzione del superfluo”. La tecnologia è sviluppata non per soddisfare a bisogni dettati dalla natura, ma per coltivare bisogni che sentiamo come tali. I manufatti non rappresentano un insieme di soluzioni nate dalle necessità fondamentali, ma sono le manifestazioni materiali dei modi scelti nel tempo dagli uomini per vivere la propria vita.

Un’ulteriore analogia tra oggetti tecnologici e individui biologici vuole che nel corso dei secoli e dei millenni, senza un disegno precostituito, gli uomini abbiano selezionato i manufatti più idonei a determinati scopi, scartando quelli meno idonei e modificando gradualmente i manufatti superstiti in modo da far svolgere nel modo migliore le funzioni ad essi assegnate.
In questo quadro di evoluzione tecnologica l’inventore singolo fa pochissimo: prende quello che ha e aggiunge un dettaglio, modifica un particolare, quindi l’individuo perde di significato nel segno della continuità, per cui tutto continua rispetto a qualcosa di preesistente.
Continuando nel paragone con il mondo biologico, vi è però una differenza: nella descrizione del primo operata da Basalla manca la mutazione. Un altro studioso, Kroeber, metterà in luce la possibilità di “strani incroci” nel mondo tecnologico, tra tecnologie apparentemente non affini (come ad esempio quelle della bicicletta e dell’aereo), con una rappresentazione ad albero che dà un’immediata idea delle differenze tra mondo biologico e mondo dei manufatti tecnologici.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *